Mason Leaver-Yap collabora con artisti per realizzare eventi, testi e mostre. Vive a Glasgow.

1 Trascrizione, “Independent spaces and emerging forms of connectivity: Salon Discussion, Monday 23 June 2008”, in Nought to Sixty, a cura di Richard Birkett e Mason Leaver-Yap, Institute of Contemporary Arts, Londra, 2009, pagg 119-120. È importante sottolineare che qualche anno prima l’ICA aveva deciso di svendere gran parte della sua attrezzatura di ripresa analogica, in quella che era considerata una transizione progressiva ed esclusiva verso il digitale, ma per l’esposizione e le proiezioni che avevamo organizzato all’interno di Nought to Sixty, il progetto espositivo in occasione del sessantesimo anniversario della ICA – sessanta progetti nel corso di sei mesi – dovemmo noleggiare di nuovo la stessa attrezzatura a un costo molto più alto del budget programmato. Inoltre, l’istituzione aveva perso le competenze tecniche necessarie per installare, proiettare e conservare film a 16 mm, e così, oltre che co-dirigere il programma espositivo, mi mandarono a un corso per gestire l’installazione e il funzionamento dell’attrezzatura a livello tecnico, per contenere i costi. Cito questo esempio solo per indicare come l’idea di  “condividere i saperi” fosse spesso confusamente richiesta dopo lo smantellamento tecnico delle istituzioni e usata più per necessità finanziarie che per investire nella crescita. Dopo aver lasciato quell’istituzione, il corso mi ha permesso di fornire assistenza tecnica nei 16 mm da freelance. 

2 La priorità assoluta è comprare il tempo dell’artista pagando un buono stipendio e una commissione. In una produzione ho provato a raccogliere un budget partendo dalle varie esperienze degli artisti e dall’ampia varietà di competenze, dettagliandole, per co-commissionare la ricerca e sviluppo, la produzione, la post-produzione, l’attrezzatura e l’affitto dello studio, e ottenendo una commissione per ogni esposizione in varie location. L’obiettivo era assicurarmi che ognuna di queste voci di costo fosse reindirizzata all’artista, così che potesse dedicarsi per un anno intero all’opera e conservare tutta l’attrezzatura e gli strumenti di produzione acquistati come investimento per i progetti futuri. In un altro progetto simultaneo, un piccolo finanziamento di una fondazione pubblica ha garantito la liquidità sufficiente per avviare la produzione di un film, quasi fosse un progetto pilota, così l’artista ha potuto collaudare il lavoro con la nuova troupe, preparare l’accesso alle location su scala inizialmente limitata e guadagnare tempo finché non si è sbloccato un finanziamento più consistente dopo sei mesi. 

3 Rivedere, o perlomeno riflettere, sui protocolli istituzionali che risultano in contrasto con l’argomento dell’opera realizzata, commissionata oppure esibita, dovrebbe essere una procedura prevista, anziché esperita nell’immediato dall’individuo. C’è una contraddizione orribile nel continuo coinvolgimento e apprendimento predatorio dell’arte contemporanea nei confronti degli artisti che lavorano con immagini in movimento incentrate sullo sradicamento, la discriminazione e la politica abolizionista, e il modo in cui questi artisti e i loro soggetti sono invitati e trattati dalle istituzioni. Forme elementari ma essenziali di supporto personale nei confronti di questi ospiti – come accoglierli all’aeroporto o al loro arrivo, mostrare il quartiere dell’istituzione, suggerire dove acquistare cibo locale, ma anche fornire contatti fuori orario – tendono a essere tralasciati dalle istituzioni che lavorano sotto pressione o a pieno regime, oppure vengono delegati ai membri dello staff più precari.

4   Richard Birkett e Mason Leaver-Yap, School of Visual Art MA Curatorial Practice, New York, venerdì 23 ottobre 2020 (via Zoom).