In questa conversazione con Zoe Butt, Thao Nguyen Phan parla della sua metodologia pittorico-filmica, che spazia dal sogno a occhi aperti come strategia metaforica e materiale di resistenza, alla poesia come strumento essenziale per dare voce a traumi storici.
![1 Shirin Neshat, Land of Dreams, 2019. Video still. Double-channel video/audio installation. HD video monochrome. Copyright Shirin Neshat. Courtesy of Gladstone Gallery, New York and Brussels](https://still.inbetweenartfilm.com/wp-content/uploads/2021/06/1.png)
Thao Nguyen Phan, Becoming Alluvium, 2019-in corso. Still da video. Video monocanale a colori, 16:50 min. Copyright di Thao Nguyen Phan. Prodotto da Han Nefkens Foundation. Collezione Fondazione In Between Art Film
Zoe Butt: Sono seduta nel mio studio, con i tuoi quadri appesi dietro alla scrivania. In uno, diversi corpi fluttuano su una campitura monocromatica; in un altro, sulla testa di un bambino, immobile come una statua, si posa la mano di un braccio che spunta da un buco nel muro. Il braccio non proietta alcuna ombra. I soggetti dei tuoi dipinti sono sempre bambini, come la maggior parte dei protagonisti di quelle che definisci “immagini in movimento.” I bambini sono quei tramiti che ti consentono di aggiungere un aspetto narrativo a storie che evochi quasi fossero cicli spirituali di vita appartenenti tanto al mondo umano quanto a quello non umano. I tuoi personaggi infatti si reincarnano, vagano come fantasmi o vivono in uno stato collettivo di amnesia: in Becoming Alluvium (2019-in corso), l’orcella asiatica e il giacinto d’acqua accolgono il proprio passato umano; in Mute Grain (2019), il bambino defunto “August” si trasforma in un fantasma affamato; in Tropical Siesta (2017), vediamo dei bambini immersi nella giocosa venerazione di un testo senza che gli fosse stato suggerito dagli adulti. Come mai i bambini sono al centro delle immagini che crei? Cosa rappresentano per te? Questo guardare ripetuto è nato da un avvenimento particolare? Perché molti si trovano in una condizione di inerzia? Perché sembrano addormentati o paralizzati, quando non addirittura morti?
![2 Shirin Neshat, Rebellious Silence, 1994. From Women of Allah series. Ink on LE silver gelatin print. Copyright Shirin Neshat. Courtesy of Gladstone Gallery, New York and Brussels](https://still.inbetweenartfilm.com/wp-content/uploads/2021/06/2.png)
Thao Nguyen Phan, Becoming Alluvium, 2019-in corso. Still da video. Video monocanale a colori, 16:50 min. Copyright di Thao Nguyen Phan. Prodotto da Han Nefkens Foundation. Collezione Fondazione In Between Art Film
Thao Nguyen Phan:
Vieni, vedi i fiori
veri
di questo mondo doloroso.
– Matsuo Bashō
Credo che i bambini siano dei tramiti, ma anche dei segni. Da un lato la loro bellezza e il loro sentimentalismo intenso ci commuovono, dall’altro dovremmo sempre ricordare la condizione particolare secondo cui il bambino viene percepito, ovvero il fatto che la sua bellezza è solo un aspetto esteriore, che sotto alla superficie potrebbero celarsi traumi e lutti. Ecco perché, nelle mie opere, cerco di bilanciare la critica sociale con un’ode a ciò che considero “bello:” elementi naturali in continuo mutamento, effimeri e transitori, che gli occhi indifesi dei bambini sanno cogliere alla perfezione.
Dal 2014 trascorriamo ogni estate nella piccola piantagione di caffè della famiglia di mio marito, a Gia Lai, sugli altipiani occidentali del Vietnam. Da quando i viet (il popolo kinh, ossia il principale gruppo etnico del Vietnam) sono arrivati ad abitare tra la comunità indigena (il popolo jarai), il villaggio ha avuto una complessa storia migratoria. Ho stretto una forte amicizia con i bambini del villaggio e ho visitato più volte la scuola locale. L’interno è identico all’aula della mia infanzia: un ritratto di Ho Chi Minh sopra la lavagna, un’iscrizione che esalta lo Stato al di sotto. I jarai e i viet si avvalgono di un sistema di scrittura sviluppato dai missionari che utilizza l’alfabeto romano. Mentre il vietnamita romanizzato è il sistema di scrittura ufficiale del Vietnam, la lingua scritta jarai viene insegnata perlopiù in chiesa, poiché la maggior parte dei jarai è oggi protestante o cattolica. Questa storia sfaccettata mi ha colpito nel profondo, mi ha fatto capire che nessuno può rappresentare una narrazione tanto complessa meglio dei bambini delle elementari, che a scuola muovono i primi passi nel processo della scrittura.
A livello economico il Vietnam si sta sviluppando in fretta, e questo genera pesanti danni ambientali, nonché un ampio scarto fra ricchi e poveri (anche se, ufficialmente, siamo socialisti). Una simile ingiustizia sociale dovrebbe far indignare chiunque possieda un’anima. Mi dispiace che ai bambini venga proposto questo tipo di istruzione, e ammiro la loro capacità di essere felici e puri in ogni circostanza. Mi hanno insegnato a rispettare la poetica del quotidiano, il valore della vita. Non posso che provare riconoscenza nei loro confronti.
NELLA MIA PRATICA FILMICO-PITTORICA, CHE PREFERISCO CONSIDERARE UN TUTT’UNO, TROVIAMO QUADRI CHE RICORDANO FOTOGRAMMI E FILM COMPOSTI DA FOTOGRAMMI DIPINTI. MI AFFASCINA CHE IL DIGITALE E L’ANALOGICO ABBIANO LA CAPACITÀ DI FLUIRE, DI FONDERSI L’UNO NELL’ALTRO, COME UN SEDIMENTO CHE SI DISSOLVE E SI SCIOGLIE NELLE INFINITE PARTICELLE DI UN FIUME.
I personaggi non sono paralizzati o morti, bensì addormentati, in dormiveglia, persi in un sogno a occhi aperti: questo elemento è comparso per la prima volta nel video Mekong Mechanical (2012), che ritraeva un’operaia dall’aria assente, in piedi dietro a un nastro trasportatore apparentemente infinito su cui scorrevano dei filetti di pesce. La condizione semiconsapevole di “fantasticheria” è un motivo che ricorre in gran parte delle mie opere. A livello pratico gli attori-bambini, che non hanno studiato recitazione, si trovano più a loro agio quando sono immobili, sdraiati o in piedi. In un certo senso diventano parte integrante del paesaggio, e per un istante lo sfondo e il primo piano si fondono l’uno nell’altro senza distinzioni. Quell’istante di sonno o di sogno a occhi aperti per me è fondamentale. È una “condizione tropicale”, un tema che attraversa le mie opere fatte di immagini in movimento: Becoming Alluvium, Mute Grain e Tropical Siesta. Ecco una citazione tratta dal finale di Tropical Siesta:
“Il momento del mezzogiorno, quando il sole proietta la sua ombra dritta, è il momento della mitologia e della poesia.”
![3 Shirin Neshat, Land of Dreams, 2019. Video still. Double-channel video/audio installation. HD video monochrome. Copyright Shirin Neshat. Courtesy of Gladstone Gallery, New York and Brussels](https://still.inbetweenartfilm.com/wp-content/uploads/2021/06/3.png)
Thao Nguyen Phan, Mekong Mechanical, 2012. Still da video. Video monocanale a colori (18:33 min, colore, suono) e libro d’artista (acquerello su seta, fotografia, tessuto, foglia d’argento). Copyright di Thao Nguyen Phan.
ZB: Apprezzo molto il fatto che la tua arte sfidi le mie percezioni. Hai precisato che i bambini non sono paralizzati o morti, bensì addormentati, in dormiveglia, persi in un sogno a occhi aperti, e questo mi ricorda che gran parte del tuo immaginario pittorico riguardante il corpo umano accenna alla sospensione (bambini che sembrano appesi per la cravatta rossa dell’uniforme scolastica) o alla mutilazione (principesse decapitate che versano lacrime di sangue). Sono opere che mi spingono a mettere in discussione le mie convinzioni, e le associazioni macabre che potrebbero evocare in me. Mi torna in mente il mio primo viaggio in Vietnam, quando rimasi colpita dall’indolenza delle persone che vedevo nelle strade affollate. Con il tempo ho capito che non si trattava di pigrizia, ma di una parte necessaria alla quotidianità. Qui una simile “indolenza” non è associata alla condizione di senzatetto, come potrebbe invece accadere in Occidente, bensì a un particolare modo di “prendere tempo” che non è relegata a una classe sociale specifica. Da allora mi è capitato di lamentarmi dell’assenza di sogni a occhi aperti nei nostri mondi sempre più ossessivi e tecnologici, mondi che spesso non riescono a cogliere le differenze sensoriali fra culture e contesti differenti. Trovarsi sospesi, in dormiveglia, sulla soglia fra spazi di tangibilità e intangibilità: ecco cos’è diventato per me lo spazio emotivo del mitico. È una venerazione quotidiana e necessaria di ciò che non riusciamo a vedere.
Il contesto vietnamita, unito a ciò che ho imparato con/da te (e con/da molti altri artisti del Sudest Asiatico), mi ha permesso di sviluppare un profondo rispetto per ciò che non è tangibile, per il modo in cui metafora e poesia agiscono come strumenti fondamentali per dare voce a traumi storici. Questa intangibilità è presente nella tua arte sotto forma di storicità stratificata e frammentata (evidente nella tua appropriazione di letteratura storica, fotografie, disegni e stampe d’archivio), ma anche come una sorta di patchwork psicologico che unisce nostalgia, rimorso, empatia, ansia, dispiacere, amore e rispetto. Il modo in cui unisci la materialità e il movimento, il linguaggio e la costruzione di mondi, il suono e il colore evoca una presenza particolare nelle tue opere. Hai accennato alla necessità di mostrare le tue immagini in movimento insieme alla loro espressione materiale (i quadri, le sculture, le opere smaltate): puoi spiegarmi meglio perché lo ritieni importante? Mi vengono in mente altri artisti della nostra zona, come Tuan Andrew Nguyen o Kidlat Tahimik, che hanno parlato del bisogno di presentare entrambi gli aspetti. Tuan ha definito le sculture che compaiono nei suoi film “oggetti testimoniali,” mentre Kidlat considera gli arredi scenici al pari dei propri familiari.
![4 Shirin Neshat, Rapture series, 1999. Gelatin silver print. Copyright Shirin Neshat. Courtesy Gladstone Gallery, New York and Brussels; and Noirmontartproduction, Paris](https://still.inbetweenartfilm.com/wp-content/uploads/2021/06/4.jpg)
Thao Nguyen Phan, Tropical Siesta, 2017. Still da video. Video installazione a doppio canale sincronizzato, 13:41 min, HD, colore, suono. Copyright di Thao Nguyen Phan.
TNP: Condivido appieno l’osservazione sull’indolenza che hai notato durante la tua prima visita in Vietnam… o nella nostra Saigon, forse. È incredibilmente affollata, inquinata, priva di spazio per respirare, un rizoma sconfinato di moto, gli abitanti si coprono da capo a piedi con mascherine e creme solari. Eppure in questo ambiente urbano quasi apocalittico si nota un comportamento estremamente rilassato, persone che vivono seguendo il proprio ritmo, che rispettano le fantasticherie, la siesta, in una strategia di sopravvivenza, come metodo per preservare la dignità e un’aura di poesia in un ambiente molto ostile.
Mi piace l’idea di mostrare le immagini in movimento insieme alla loro espressione materiale o, al contrario, mi piace mostrare dipinti e sculture insieme alle rispettive immagini in movimento. Anche se il video sembra l’elemento principale (dato che di solito occupa proiettori o schermi più grandi), vorrei che i vari elementi fossero considerati secondo una prospettiva non gerarchica, che convivessero in modo armonioso. È un’inclinazione che deriva dalla mia resistenza silenziosa alla formazione nell’ambito della lacca vietnamita: mi ha dato tantissimo, ma era fondata su una forte gerarchia che privilegiava la pittura (di cui la lacca era considerata una semplice branca) e la scultura, ritenute le forme d’arte più alte. Il dibattito sui nuovi media—come il video, l’installazione o l’arte performativa—non faceva parte del curriculum delle scuole vietnamite, e la situazione non è cambiata. Personalmente non riesco a lavorare appieno a un film se prima non ho lavorato ai quadri, perché la mia mente ragiona grazie alla costruzione di immagini, un po’ come fa una poetessa con le sue opere in prosa. È attraverso la pittura e il disegno che abbozzo una sceneggiatura (molto spesso, all’inizio delle riprese, non esiste una sceneggiatura vera e propria, ma solo una serie di azioni scollegate che possono essere improvvisate sul momento). In secondo luogo ammiro l’agilità con cui altri artisti, come la mia mentore Joan Jonas, si muovono fra performance, video, disegno e scultura. Penso spesso anche al modo in cui Kidlat Tahimik monta i suoi lavori: non fa che modificare, tagliare, aggiungere ed eliminare il contenuto del film, e ogni proiezione diventa una sorta di nuova metamorfosi. Da questo punto di vista l’opera d’arte è quasi un’entità vivente—pensiamo all’animismo che instilla un’anima in ogni essere senziente e non che si trovi sulla Terra, o all’importanza che il buddismo dà alla reincarnazione. Questo progetto vivo, in evoluzione, animato incarna il tipo di libertà che vorrei raggiungere nelle mie opere in corso e future. È una situazione poetica in cui diversi tipi di materialità (o voci) possono convivere, non in assenza di conflitto ma in una confusione poetica, aprendo la strada alla potenzialità di cercare il tangibile nell’intangibile, il reale nell’illusorio e l’illusorio nel reale.
![5 Shirin Neshat, Looking For Oum Kulthum, 2017. Film still. Copyright Shirin Neshat. Courtesy of the artist and Razor Film. Fondazione In Between Art Film Collection](https://still.inbetweenartfilm.com/wp-content/uploads/2021/06/5.jpg)
Thao Nguyen Phan, Tropical Siesta, 2017. Still da video. Video installazione a doppio canale sincronizzato, 13:41 min, HD, colore, suono. Copyright di Thao Nguyen Phan.
ZB: Sì, la poetica delle tue opere imprime sempre una traccia indelebile su di me. In qualità di aspirante scrittrice, provo un’attrazione emotiva per la prosa letteraria e le stampe storiche che inserisci nelle narrazioni che scegli di raccontare, e per il modo in cui conferisci immagine e suono a quella che spesso è la condivisione di eventi storici drammatici. Questi punti di vista schiudono le possibili interpretazioni della tua arte. La citazione di altri autori aiuta a tracciare parallelismi con storicità prossime, è un gesto verso la fallibilità della condizione umana che collega il tuo contesto, la tua storia, a qualcosa che è accaduto prima, in un luogo diverso.
Penso alla tua video installazione a tre canali Mute Grain, che rimanda al romanzo Anandamath dello scrittore bengalese Bankim Chandra Chatterjee: ambientato durante la carestia che colpì il Bengala nel 1770, il libro diventò il simbolo della lotta dell’India per l’indipendenza dal dominio coloniale, e offre un’analogia perfetta con Mute Grain, che ripercorre invece la carestia vietnamita degli anni Quaranta, causata dall’occupazione prima francese e poi giapponese.
In quest’opera hai utilizzato inoltre testi narrativi dello scrittore giapponese Yasunari Kawabata, il cui racconto del 1924 sembra scritto, incredibilmente, da un abitante del Vietnam meridionale che ha vissuto un dolore simile causato dalla divisione ideologica: “A volte mi sedevo a lungo davanti a mio nonno a fissarlo in faccia, chiedendomi se si sarebbe voltato a nord anche solo una volta. Ma mio nonno girava la testa a destra ogni cinque minuti come una bambola elettrica, guardando solo verso sud.”1
Nell’opera monocanale Becoming Alluvium, la distesa del Mekong è rievocata con nostalgia dal famoso romanzo L’amante di Marguerite Duras (1984), grazie alla voce femminile che parla in francese e si sovrappone alle riprese dell’odierno commercio navale del fiume (precedute da quelle che mostrano la situazione reale dovuta alla costruzione eccessiva di dighe).
In quest’opera tracci inoltre dei paralleli fra quelle che sembrano due fantasie: l’animazione pittorica dei racconti popolari dei lao e dei khmer, sovrapposta alle stampe coloniali di Louis Delaporte e al suo immaginario (sfruttamento?) dell’Indocina francese (la sua collezione di artefatti khmer sarebbe diventata un fiore all’occhiello nell’attuale Museo Guimet).
Tutti questi rimandi incrociati creano nelle tue opere un intreccio di paragoni storici particolari, un intreccio che risulta fuori fuoco nella nostra rievocazione del passato incentrata sui media. La tua pratica dà vita a mappe diverse con cui attestare valore, causa ed effetto. Immergendomi nei tuoi lavori scopro sempre tangenti di rapporto divergenti, un’esperienza che spero di fare con l’arte in generale. Potresti condividere qualcosa in più sui tuoi processi di lettura? Le tue ricerche storico-letterarie sono guidate da passioni o interessi specifici? Nella tua vita c’è stato un evento o un momento determinante da cui è scaturito il fascino per la voce altrui?
![6 Shirin Neshat, Turbulent, 1998. Video still. Two-channel video/audio installation. 16mm black-and-white film transferred to video. Copyright Shirin Neshat. Courtesy of Gladstone Gallery, New York and Brussels](https://still.inbetweenartfilm.com/wp-content/uploads/2021/06/6.png)
Thao Nguyen Phan, Mute Grain, 2019. Still da video. Video a tre canali in bianco e nero, 15:45 min (in loop). Copyright di Thao Nguyen Phan. Commissionato da Sharjah Art Foundation.
TNP: Leggo in modo intuitivo, dato che non ho una formazione vera e propria in filosofia né in letteratura. Mi piace stabilire legami tra narrazioni e stili di scrittura in apparenza scollegati, come per esempio nel progetto Mute Grain, nato dalla scoperta della totale assenza di una letteratura locale (cioè vietnamita) che analizzasse il contesto della carestia del 1945. Mi sono ritrovata a interessarmi a eventi paralleli avvenuti nel Bengala nel 1943 e mi sono imbattuta nel romanzo Anandamath di Bankim Chandra Chatterjee, scritto nell’Ottocento. Mi sono resa conto allora che la condizione di incertezza legata al cibo era universale, e che la storia si stava semplicemente ripetendo in un eterno ciclo di morte e rinascita. Mi è sembrato incredibile che eventi tanto distanti nel tempo e accaduti in Bengala mi apparissero così familiari. Mi sono parsi davvero essenziali in rapporto ai problemi dell’Indocina; la produzione di iuta nel Bengala Britannico, per esempio, fu interrotta affinché i giapponesi non potessero importarla e sostenere così il proprio sforzo bellico, e quindi i giapponesi finirono per coltivarla nel Vietnam occupato. Questo piccolo dettaglio storico è rilevante per le narrazioni roboanti della Nazione e dell’Imperialismo, e per me queste storie cozzano anche come narrazioni “minori,” al pari del ricordo dei bambini perduti di cui parla il film.
In Becoming Alluvium ho usato un romanzo di Duras, con ogni probabilità la scrittrice più nota che abbia parlato della vita sul delta del Mekong durante il periodo coloniale francese. Le sue opere suscitano una forte nostalgia della gloria tramontata delle colonie. Da un certo punto di vista capisco i suoi ricordi, ma allo stesso tempo provo l’impulso di respingerli. Prendere in prestito il ricordo di una donna francese la cui splendida voce poetica oscura i ricordi e la storia delle persone del luogo è in un certo senso un tentativo di ascoltare le voci altrui. In questo caso, è anche un tentativo di rievocare una voce immaginaria del fiume.
La prima volta che sono stata a Gia Lai, l’incredibile bellezza magica della terra ha catturato la mia anima, e ancora oggi suscita in me un’ingenua sensazione di perdita. Ho l’impressione che la terra, il fiume e gli alberi mi sussurrino nella loro magica lingua segreta. Come posso trasmettere quest’esperienza, se la terra non si esprime attraverso un testo scritto? Immagino che l’affidarmi alla voce altrui sia una mia questione aperta, in un certo senso, ma si tratta di un metodo affascinante che per me funziona bene; la storia viene considerata “ciclica”, e forse lo sono anche le prospettive delle altre persone.
—Traduzione dall’inglese di Aurelia Di Meo
Zoe Butt, Direttrice Artistica, Factory Contemporary Arts Centre, Ho Chi Minh City
Zoe Butt è una curatrice e scrittrice che vive a Ho Chi Minh City, dove attualmente è Direttrice Artistica di Factory Contemporary Arts Centre. La sua pratica è incentrata sulla costruzione di comunità artistiche consapevoli a livello critico e storico, favorendo il dialogo tra le culture del Sud globalizzato. In precedenza, Zoe è stata Direttrice Esecutiva e Curatrice di Sàn Art, Ho Chi Minh City (2009-2016); Direttrice dei Programmi internazionali, Long March Project, Pechino (2007-2009); e Assistente Curatrice per l’arte asiatica contemporanea, Queensland Art Gallery, Brisbane (2001-2007). In quest’ultimo ruolo, si è particolarmente concentrata sull’organizzazione della Asia-Pacific Triennial of Contemporary Art. Il suo lavoro è stato pubblicato da Hatje Cantz, ArtReview, ArtAsiaPacific, Lalit Kala Akademi, JRP-Ringier, Routledge e Sternberg Press, tra gli altri. Tra i progetti più importanti vengono ricordati “Realigning the Cosmos” (2020-in corso); “Pollination” (2018-in corso); “Sharjah Biennial 14: Leaving the Echo Chamber – Journey Beyond the Arrow” (2019); “Conscious Realities” (2013-2016); “Embedded South(s)” (2016), e “San Art Laboratory” (2012-2015). Zoe è MoMA International Curatorial Fellow; membro dell’iniziativa “Asia 21” dell’Asia Society; membro dell’Asian Art Council per il Solomon R. Guggenheim Museum; e, nel 2015, è stata nominata Young Global Leader del World Economic Forum.
Thao Nguyen Phan, Artista
Thao Nguyen Phan è un’artista che vive e lavora a Ho Chi Minh City, Vietnam. Pittrice di formazione, Phan è un’artista multimediale la cui pratica comprende video, pittura e installazione. Attingendo dalla letteratura, dalla filosofia e dalla vita quotidiana, Phan osserva gli aspetti ambigui nelle convenzioni sociali e nella storia. Phan ha presentato il suo lavoro a livello internazionale, sia in mostre personali sia collettive, presso Chisenhale Gallery (Londra, 2020); WIELS (Bruxelles, 2020); Rockbund Art Museum (Shanghai, 2019); B Lyon Biennale (Lione, 2019); Sharjah Biennial (Sharjah Art Foundation, 2019); Gemäldegalerie (Berlino, 2018); Dhaka Art Summit (2018); Para Site (Hong Kong, 2018); Factory Contemporary Art Center (Ho Chi Minh City, 2017); Nha San Collective (Hanoi, 2017); e Bétonsalon (Parigi, 2016), tra gli altri. È stata selezionata per l’Hugo Boss Asia Art Award 2019. Oltre al suo lavoro di artista multimediale, è co-fondatrice del collettivo Art Labor, che esplora pratiche interdisciplinari e sviluppa progetti artistici a beneficio della comunità locale.
1 Yasunari Kawabata, “The Grasshopper and the Bell Cricket” in Palm of the Hand Stories (New York: Farrar, Straus and Giroux, 2006), p. 4. Questa citazione è inquietante perché potrebbe essere la voce di una persona sudvietnamita di fronte alla realtà storica del suo paese diviso in due come conseguenza dell’Accordo di Ginevra del 1954. L’Accordo spinse gli eserciti comunisti nordvietnamiti a conquistare il sud controllato dagli USA. Il trauma psicologico di questa divisione tra il Vietnam del Nord e del Sud continua ancora oggi.
In questa conversazione con Zoe Butt, Thao Nguyen Phan parla della sua metodologia pittorico-filmica, che spazia dal sogno a occhi aperti come strategia metaforica e materiale di resistenza, alla poesia come strumento essenziale per dare voce a traumi storici.
![1 Shirin Neshat, Land of Dreams, 2019. Video still. Double-channel video/audio installation. HD video monochrome. Copyright Shirin Neshat. Courtesy of Gladstone Gallery, New York and Brussels](https://still.inbetweenartfilm.com/wp-content/uploads/2021/06/1.png)
Thao Nguyen Phan, Becoming Alluvium, 2019-in corso. Still da video. Video monocanale a colori, 16:50 min. Copyright di Thao Nguyen Phan. Prodotto da Han Nefkens Foundation. Collezione Fondazione In Between Art Film
Zoe Butt: Sono seduta nel mio studio, con i tuoi quadri appesi dietro alla scrivania. In uno, diversi corpi fluttuano su una campitura monocromatica; in un altro, sulla testa di un bambino, immobile come una statua, si posa la mano di un braccio che spunta da un buco nel muro. Il braccio non proietta alcuna ombra. I soggetti dei tuoi dipinti sono sempre bambini, come la maggior parte dei protagonisti di quelle che definisci “immagini in movimento.” I bambini sono quei tramiti che ti consentono di aggiungere un aspetto narrativo a storie che evochi quasi fossero cicli spirituali di vita appartenenti tanto al mondo umano quanto a quello non umano. I tuoi personaggi infatti si reincarnano, vagano come fantasmi o vivono in uno stato collettivo di amnesia: in Becoming Alluvium (2019-in corso), l’orcella asiatica e il giacinto d’acqua accolgono il proprio passato umano; in Mute Grain (2019), il bambino defunto “August” si trasforma in un fantasma affamato; in Tropical Siesta (2017), vediamo dei bambini immersi nella giocosa venerazione di un testo senza che gli fosse stato suggerito dagli adulti. Come mai i bambini sono al centro delle immagini che crei? Cosa rappresentano per te? Questo guardare ripetuto è nato da un avvenimento particolare? Perché molti si trovano in una condizione di inerzia? Perché sembrano addormentati o paralizzati, quando non addirittura morti?
![2 Shirin Neshat, Rebellious Silence, 1994. From Women of Allah series. Ink on LE silver gelatin print. Copyright Shirin Neshat. Courtesy of Gladstone Gallery, New York and Brussels](https://still.inbetweenartfilm.com/wp-content/uploads/2021/06/2.png)
Thao Nguyen Phan, Becoming Alluvium, 2019-in corso. Still da video. Video monocanale a colori, 16:50 min. Copyright di Thao Nguyen Phan. Prodotto da Han Nefkens Foundation. Collezione Fondazione In Between Art Film
Thao Nguyen Phan:
Vieni, vedi i fiori
veri
di questo mondo doloroso.
– Matsuo Bashō
Credo che i bambini siano dei tramiti, ma anche dei segni. Da un lato la loro bellezza e il loro sentimentalismo intenso ci commuovono, dall’altro dovremmo sempre ricordare la condizione particolare secondo cui il bambino viene percepito, ovvero il fatto che la sua bellezza è solo un aspetto esteriore, che sotto alla superficie potrebbero celarsi traumi e lutti. Ecco perché, nelle mie opere, cerco di bilanciare la critica sociale con un’ode a ciò che considero “bello:” elementi naturali in continuo mutamento, effimeri e transitori, che gli occhi indifesi dei bambini sanno cogliere alla perfezione.
Dal 2014 trascorriamo ogni estate nella piccola piantagione di caffè della famiglia di mio marito, a Gia Lai, sugli altipiani occidentali del Vietnam. Da quando i viet (il popolo kinh, ossia il principale gruppo etnico del Vietnam) sono arrivati ad abitare tra la comunità indigena (il popolo jarai), il villaggio ha avuto una complessa storia migratoria. Ho stretto una forte amicizia con i bambini del villaggio e ho visitato più volte la scuola locale. L’interno è identico all’aula della mia infanzia: un ritratto di Ho Chi Minh sopra la lavagna, un’iscrizione che esalta lo Stato al di sotto. I jarai e i viet si avvalgono di un sistema di scrittura sviluppato dai missionari che utilizza l’alfabeto romano. Mentre il vietnamita romanizzato è il sistema di scrittura ufficiale del Vietnam, la lingua scritta jarai viene insegnata perlopiù in chiesa, poiché la maggior parte dei jarai è oggi protestante o cattolica. Questa storia sfaccettata mi ha colpito nel profondo, mi ha fatto capire che nessuno può rappresentare una narrazione tanto complessa meglio dei bambini delle elementari, che a scuola muovono i primi passi nel processo della scrittura.
A livello economico il Vietnam si sta sviluppando in fretta, e questo genera pesanti danni ambientali, nonché un ampio scarto fra ricchi e poveri (anche se, ufficialmente, siamo socialisti). Una simile ingiustizia sociale dovrebbe far indignare chiunque possieda un’anima. Mi dispiace che ai bambini venga proposto questo tipo di istruzione, e ammiro la loro capacità di essere felici e puri in ogni circostanza. Mi hanno insegnato a rispettare la poetica del quotidiano, il valore della vita. Non posso che provare riconoscenza nei loro confronti.
NELLA MIA PRATICA FILMICO-PITTORICA, CHE PREFERISCO CONSIDERARE UN TUTT’UNO, TROVIAMO QUADRI CHE RICORDANO FOTOGRAMMI E FILM COMPOSTI DA FOTOGRAMMI DIPINTI. MI AFFASCINA CHE IL DIGITALE E L’ANALOGICO ABBIANO LA CAPACITÀ DI FLUIRE, DI FONDERSI L’UNO NELL’ALTRO, COME UN SEDIMENTO CHE SI DISSOLVE E SI SCIOGLIE NELLE INFINITE PARTICELLE DI UN FIUME.
I personaggi non sono paralizzati o morti, bensì addormentati, in dormiveglia, persi in un sogno a occhi aperti: questo elemento è comparso per la prima volta nel video Mekong Mechanical (2012), che ritraeva un’operaia dall’aria assente, in piedi dietro a un nastro trasportatore apparentemente infinito su cui scorrevano dei filetti di pesce. La condizione semiconsapevole di “fantasticheria” è un motivo che ricorre in gran parte delle mie opere. A livello pratico gli attori-bambini, che non hanno studiato recitazione, si trovano più a loro agio quando sono immobili, sdraiati o in piedi. In un certo senso diventano parte integrante del paesaggio, e per un istante lo sfondo e il primo piano si fondono l’uno nell’altro senza distinzioni. Quell’istante di sonno o di sogno a occhi aperti per me è fondamentale. È una “condizione tropicale”, un tema che attraversa le mie opere fatte di immagini in movimento: Becoming Alluvium, Mute Grain e Tropical Siesta. Ecco una citazione tratta dal finale di Tropical Siesta:
“Il momento del mezzogiorno, quando il sole proietta la sua ombra dritta, è il momento della mitologia e della poesia.”
![3 Shirin Neshat, Land of Dreams, 2019. Video still. Double-channel video/audio installation. HD video monochrome. Copyright Shirin Neshat. Courtesy of Gladstone Gallery, New York and Brussels](https://still.inbetweenartfilm.com/wp-content/uploads/2021/06/3.png)
Thao Nguyen Phan, Mekong Mechanical, 2012. Still da video. Video monocanale a colori (18:33 min, colore, suono) e libro d’artista (acquerello su seta, fotografia, tessuto, foglia d’argento). Copyright di Thao Nguyen Phan.
ZB: Apprezzo molto il fatto che la tua arte sfidi le mie percezioni. Hai precisato che i bambini non sono paralizzati o morti, bensì addormentati, in dormiveglia, persi in un sogno a occhi aperti, e questo mi ricorda che gran parte del tuo immaginario pittorico riguardante il corpo umano accenna alla sospensione (bambini che sembrano appesi per la cravatta rossa dell’uniforme scolastica) o alla mutilazione (principesse decapitate che versano lacrime di sangue). Sono opere che mi spingono a mettere in discussione le mie convinzioni, e le associazioni macabre che potrebbero evocare in me. Mi torna in mente il mio primo viaggio in Vietnam, quando rimasi colpita dall’indolenza delle persone che vedevo nelle strade affollate. Con il tempo ho capito che non si trattava di pigrizia, ma di una parte necessaria alla quotidianità. Qui una simile “indolenza” non è associata alla condizione di senzatetto, come potrebbe invece accadere in Occidente, bensì a un particolare modo di “prendere tempo” che non è relegata a una classe sociale specifica. Da allora mi è capitato di lamentarmi dell’assenza di sogni a occhi aperti nei nostri mondi sempre più ossessivi e tecnologici, mondi che spesso non riescono a cogliere le differenze sensoriali fra culture e contesti differenti. Trovarsi sospesi, in dormiveglia, sulla soglia fra spazi di tangibilità e intangibilità: ecco cos’è diventato per me lo spazio emotivo del mitico. È una venerazione quotidiana e necessaria di ciò che non riusciamo a vedere.
Il contesto vietnamita, unito a ciò che ho imparato con/da te (e con/da molti altri artisti del Sudest Asiatico), mi ha permesso di sviluppare un profondo rispetto per ciò che non è tangibile, per il modo in cui metafora e poesia agiscono come strumenti fondamentali per dare voce a traumi storici. Questa intangibilità è presente nella tua arte sotto forma di storicità stratificata e frammentata (evidente nella tua appropriazione di letteratura storica, fotografie, disegni e stampe d’archivio), ma anche come una sorta di patchwork psicologico che unisce nostalgia, rimorso, empatia, ansia, dispiacere, amore e rispetto. Il modo in cui unisci la materialità e il movimento, il linguaggio e la costruzione di mondi, il suono e il colore evoca una presenza particolare nelle tue opere. Hai accennato alla necessità di mostrare le tue immagini in movimento insieme alla loro espressione materiale (i quadri, le sculture, le opere smaltate): puoi spiegarmi meglio perché lo ritieni importante? Mi vengono in mente altri artisti della nostra zona, come Tuan Andrew Nguyen o Kidlat Tahimik, che hanno parlato del bisogno di presentare entrambi gli aspetti. Tuan ha definito le sculture che compaiono nei suoi film “oggetti testimoniali,” mentre Kidlat considera gli arredi scenici al pari dei propri familiari.
![4 Shirin Neshat, Rapture series, 1999. Gelatin silver print. Copyright Shirin Neshat. Courtesy Gladstone Gallery, New York and Brussels; and Noirmontartproduction, Paris](https://still.inbetweenartfilm.com/wp-content/uploads/2021/06/4.jpg)
Thao Nguyen Phan, Tropical Siesta, 2017. Still da video. Video installazione a doppio canale sincronizzato, 13:41 min, HD, colore, suono. Copyright di Thao Nguyen Phan.
TNP: Condivido appieno l’osservazione sull’indolenza che hai notato durante la tua prima visita in Vietnam… o nella nostra Saigon, forse. È incredibilmente affollata, inquinata, priva di spazio per respirare, un rizoma sconfinato di moto, gli abitanti si coprono da capo a piedi con mascherine e creme solari. Eppure in questo ambiente urbano quasi apocalittico si nota un comportamento estremamente rilassato, persone che vivono seguendo il proprio ritmo, che rispettano le fantasticherie, la siesta, in una strategia di sopravvivenza, come metodo per preservare la dignità e un’aura di poesia in un ambiente molto ostile.
Mi piace l’idea di mostrare le immagini in movimento insieme alla loro espressione materiale o, al contrario, mi piace mostrare dipinti e sculture insieme alle rispettive immagini in movimento. Anche se il video sembra l’elemento principale (dato che di solito occupa proiettori o schermi più grandi), vorrei che i vari elementi fossero considerati secondo una prospettiva non gerarchica, che convivessero in modo armonioso. È un’inclinazione che deriva dalla mia resistenza silenziosa alla formazione nell’ambito della lacca vietnamita: mi ha dato tantissimo, ma era fondata su una forte gerarchia che privilegiava la pittura (di cui la lacca era considerata una semplice branca) e la scultura, ritenute le forme d’arte più alte. Il dibattito sui nuovi media—come il video, l’installazione o l’arte performativa—non faceva parte del curriculum delle scuole vietnamite, e la situazione non è cambiata. Personalmente non riesco a lavorare appieno a un film se prima non ho lavorato ai quadri, perché la mia mente ragiona grazie alla costruzione di immagini, un po’ come fa una poetessa con le sue opere in prosa. È attraverso la pittura e il disegno che abbozzo una sceneggiatura (molto spesso, all’inizio delle riprese, non esiste una sceneggiatura vera e propria, ma solo una serie di azioni scollegate che possono essere improvvisate sul momento). In secondo luogo ammiro l’agilità con cui altri artisti, come la mia mentore Joan Jonas, si muovono fra performance, video, disegno e scultura. Penso spesso anche al modo in cui Kidlat Tahimik monta i suoi lavori: non fa che modificare, tagliare, aggiungere ed eliminare il contenuto del film, e ogni proiezione diventa una sorta di nuova metamorfosi. Da questo punto di vista l’opera d’arte è quasi un’entità vivente—pensiamo all’animismo che instilla un’anima in ogni essere senziente e non che si trovi sulla Terra, o all’importanza che il buddismo dà alla reincarnazione. Questo progetto vivo, in evoluzione, animato incarna il tipo di libertà che vorrei raggiungere nelle mie opere in corso e future. È una situazione poetica in cui diversi tipi di materialità (o voci) possono convivere, non in assenza di conflitto ma in una confusione poetica, aprendo la strada alla potenzialità di cercare il tangibile nell’intangibile, il reale nell’illusorio e l’illusorio nel reale.
![5 Shirin Neshat, Looking For Oum Kulthum, 2017. Film still. Copyright Shirin Neshat. Courtesy of the artist and Razor Film. Fondazione In Between Art Film Collection](https://still.inbetweenartfilm.com/wp-content/uploads/2021/06/5.jpg)
Thao Nguyen Phan, Tropical Siesta, 2017. Still da video. Video installazione a doppio canale sincronizzato, 13:41 min, HD, colore, suono. Copyright di Thao Nguyen Phan.
ZB: Sì, la poetica delle tue opere imprime sempre una traccia indelebile su di me. In qualità di aspirante scrittrice, provo un’attrazione emotiva per la prosa letteraria e le stampe storiche che inserisci nelle narrazioni che scegli di raccontare, e per il modo in cui conferisci immagine e suono a quella che spesso è la condivisione di eventi storici drammatici. Questi punti di vista schiudono le possibili interpretazioni della tua arte. La citazione di altri autori aiuta a tracciare parallelismi con storicità prossime, è un gesto verso la fallibilità della condizione umana che collega il tuo contesto, la tua storia, a qualcosa che è accaduto prima, in un luogo diverso.
Penso alla tua video installazione a tre canali Mute Grain, che rimanda al romanzo Anandamath dello scrittore bengalese Bankim Chandra Chatterjee: ambientato durante la carestia che colpì il Bengala nel 1770, il libro diventò il simbolo della lotta dell’India per l’indipendenza dal dominio coloniale, e offre un’analogia perfetta con Mute Grain, che ripercorre invece la carestia vietnamita degli anni Quaranta, causata dall’occupazione prima francese e poi giapponese.
In quest’opera hai utilizzato inoltre testi narrativi dello scrittore giapponese Yasunari Kawabata, il cui racconto del 1924 sembra scritto, incredibilmente, da un abitante del Vietnam meridionale che ha vissuto un dolore simile causato dalla divisione ideologica: “A volte mi sedevo a lungo davanti a mio nonno a fissarlo in faccia, chiedendomi se si sarebbe voltato a nord anche solo una volta. Ma mio nonno girava la testa a destra ogni cinque minuti come una bambola elettrica, guardando solo verso sud.”1
Nell’opera monocanale Becoming Alluvium, la distesa del Mekong è rievocata con nostalgia dal famoso romanzo L’amante di Marguerite Duras (1984), grazie alla voce femminile che parla in francese e si sovrappone alle riprese dell’odierno commercio navale del fiume (precedute da quelle che mostrano la situazione reale dovuta alla costruzione eccessiva di dighe).
In quest’opera tracci inoltre dei paralleli fra quelle che sembrano due fantasie: l’animazione pittorica dei racconti popolari dei lao e dei khmer, sovrapposta alle stampe coloniali di Louis Delaporte e al suo immaginario (sfruttamento?) dell’Indocina francese (la sua collezione di artefatti khmer sarebbe diventata un fiore all’occhiello nell’attuale Museo Guimet).
Tutti questi rimandi incrociati creano nelle tue opere un intreccio di paragoni storici particolari, un intreccio che risulta fuori fuoco nella nostra rievocazione del passato incentrata sui media. La tua pratica dà vita a mappe diverse con cui attestare valore, causa ed effetto. Immergendomi nei tuoi lavori scopro sempre tangenti di rapporto divergenti, un’esperienza che spero di fare con l’arte in generale. Potresti condividere qualcosa in più sui tuoi processi di lettura? Le tue ricerche storico-letterarie sono guidate da passioni o interessi specifici? Nella tua vita c’è stato un evento o un momento determinante da cui è scaturito il fascino per la voce altrui?
![6 Shirin Neshat, Turbulent, 1998. Video still. Two-channel video/audio installation. 16mm black-and-white film transferred to video. Copyright Shirin Neshat. Courtesy of Gladstone Gallery, New York and Brussels](https://still.inbetweenartfilm.com/wp-content/uploads/2021/06/6.png)
Thao Nguyen Phan, Mute Grain, 2019. Still da video. Video a tre canali in bianco e nero, 15:45 min (in loop). Copyright di Thao Nguyen Phan. Commissionato da Sharjah Art Foundation.
TNP: Leggo in modo intuitivo, dato che non ho una formazione vera e propria in filosofia né in letteratura. Mi piace stabilire legami tra narrazioni e stili di scrittura in apparenza scollegati, come per esempio nel progetto Mute Grain, nato dalla scoperta della totale assenza di una letteratura locale (cioè vietnamita) che analizzasse il contesto della carestia del 1945. Mi sono ritrovata a interessarmi a eventi paralleli avvenuti nel Bengala nel 1943 e mi sono imbattuta nel romanzo Anandamath di Bankim Chandra Chatterjee, scritto nell’Ottocento. Mi sono resa conto allora che la condizione di incertezza legata al cibo era universale, e che la storia si stava semplicemente ripetendo in un eterno ciclo di morte e rinascita. Mi è sembrato incredibile che eventi tanto distanti nel tempo e accaduti in Bengala mi apparissero così familiari. Mi sono parsi davvero essenziali in rapporto ai problemi dell’Indocina; la produzione di iuta nel Bengala Britannico, per esempio, fu interrotta affinché i giapponesi non potessero importarla e sostenere così il proprio sforzo bellico, e quindi i giapponesi finirono per coltivarla nel Vietnam occupato. Questo piccolo dettaglio storico è rilevante per le narrazioni roboanti della Nazione e dell’Imperialismo, e per me queste storie cozzano anche come narrazioni “minori,” al pari del ricordo dei bambini perduti di cui parla il film.
In Becoming Alluvium ho usato un romanzo di Duras, con ogni probabilità la scrittrice più nota che abbia parlato della vita sul delta del Mekong durante il periodo coloniale francese. Le sue opere suscitano una forte nostalgia della gloria tramontata delle colonie. Da un certo punto di vista capisco i suoi ricordi, ma allo stesso tempo provo l’impulso di respingerli. Prendere in prestito il ricordo di una donna francese la cui splendida voce poetica oscura i ricordi e la storia delle persone del luogo è in un certo senso un tentativo di ascoltare le voci altrui. In questo caso, è anche un tentativo di rievocare una voce immaginaria del fiume.
La prima volta che sono stata a Gia Lai, l’incredibile bellezza magica della terra ha catturato la mia anima, e ancora oggi suscita in me un’ingenua sensazione di perdita. Ho l’impressione che la terra, il fiume e gli alberi mi sussurrino nella loro magica lingua segreta. Come posso trasmettere quest’esperienza, se la terra non si esprime attraverso un testo scritto? Immagino che l’affidarmi alla voce altrui sia una mia questione aperta, in un certo senso, ma si tratta di un metodo affascinante che per me funziona bene; la storia viene considerata “ciclica”, e forse lo sono anche le prospettive delle altre persone.
—Traduzione dall’inglese di Aurelia Di Meo
Zoe Butt, Direttrice Artistica, Factory Contemporary Arts Centre, Ho Chi Minh City
Zoe Butt è una curatrice e scrittrice che vive a Ho Chi Minh City, dove attualmente è Direttrice Artistica di Factory Contemporary Arts Centre. La sua pratica è incentrata sulla costruzione di comunità artistiche consapevoli a livello critico e storico, favorendo il dialogo tra le culture del Sud globalizzato. In precedenza, Zoe è stata Direttrice Esecutiva e Curatrice di Sàn Art, Ho Chi Minh City (2009-2016); Direttrice dei Programmi internazionali, Long March Project, Pechino (2007-2009); e Assistente Curatrice per l’arte asiatica contemporanea, Queensland Art Gallery, Brisbane (2001-2007). In quest’ultimo ruolo, si è particolarmente concentrata sull’organizzazione della Asia-Pacific Triennial of Contemporary Art. Il suo lavoro è stato pubblicato da Hatje Cantz, ArtReview, ArtAsiaPacific, Lalit Kala Akademi, JRP-Ringier, Routledge e Sternberg Press, tra gli altri. Tra i progetti più importanti vengono ricordati “Realigning the Cosmos” (2020-in corso); “Pollination” (2018-in corso); “Sharjah Biennial 14: Leaving the Echo Chamber – Journey Beyond the Arrow” (2019); “Conscious Realities” (2013-2016); “Embedded South(s)” (2016), e “San Art Laboratory” (2012-2015). Zoe è MoMA International Curatorial Fellow; membro dell’iniziativa “Asia 21” dell’Asia Society; membro dell’Asian Art Council per il Solomon R. Guggenheim Museum; e, nel 2015, è stata nominata Young Global Leader del World Economic Forum.
Thao Nguyen Phan, Artista
Thao Nguyen Phan è un’artista che vive e lavora a Ho Chi Minh City, Vietnam. Pittrice di formazione, Phan è un’artista multimediale la cui pratica comprende video, pittura e installazione. Attingendo dalla letteratura, dalla filosofia e dalla vita quotidiana, Phan osserva gli aspetti ambigui nelle convenzioni sociali e nella storia. Phan ha presentato il suo lavoro a livello internazionale, sia in mostre personali sia collettive, presso Chisenhale Gallery (Londra, 2020); WIELS (Bruxelles, 2020); Rockbund Art Museum (Shanghai, 2019); B Lyon Biennale (Lione, 2019); Sharjah Biennial (Sharjah Art Foundation, 2019); Gemäldegalerie (Berlino, 2018); Dhaka Art Summit (2018); Para Site (Hong Kong, 2018); Factory Contemporary Art Center (Ho Chi Minh City, 2017); Nha San Collective (Hanoi, 2017); e Bétonsalon (Parigi, 2016), tra gli altri. È stata selezionata per l’Hugo Boss Asia Art Award 2019. Oltre al suo lavoro di artista multimediale, è co-fondatrice del collettivo Art Labor, che esplora pratiche interdisciplinari e sviluppa progetti artistici a beneficio della comunità locale.
1 Yasunari Kawabata, “The Grasshopper and the Bell Cricket” in Palm of the Hand Stories (New York: Farrar, Straus and Giroux, 2006), p. 4. Questa citazione è inquietante perché potrebbe essere la voce di una persona sudvietnamita di fronte alla realtà storica del suo paese diviso in due come conseguenza dell’Accordo di Ginevra del 1954. L’Accordo spinse gli eserciti comunisti nordvietnamiti a conquistare il sud controllato dagli USA. Il trauma psicologico di questa divisione tra il Vietnam del Nord e del Sud continua ancora oggi.