Una politica della memoria
Attingendo a pellicole e filmati televisivi delle cerimonie funebri di grandi leader comunisti, l’artista compone una scenografia del lutto transnazionale e trans-storica, sottolineando l’uso politico della memoria nella costruzione e nella riproduzione di passati, presenti e futuri fittizi.
Adrian Paci, Interregnum, 2017. Still da video. 17:29 min. Courtesy dell’artista; Galerie Peter Kilchmann, Zurigo; e kaufmann repetto, Milano/New York. Collezione Fondazione In Between Art Film
“La crisi consiste appunto nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati”.
– Antonio Gramsci, Quaderni dal carcere1
“Ogni società si fonda sull’adozione di un passato fittizio che rimuove le origini diverse degli individui e facilita l’identificazione di un futuro comune, attraverso una politica della memoria e dell’oblio […]. La conservazione della memoria, di ciò che è memorabile, che a sua volta è costituito dalla selezione di ciò che è memorizzabile, è sempre un’elaborazione; non è mai il semplice resoconto dell’accaduto. L’accaduto accade soltanto non accadendo davvero. Si ricorda solo dimenticando, rimuovendo, selezionando quel che merita di essere trattenuto da tutto ciò che si potrebbe trattenere; analogamente, si ricorda solo anticipando, in maniera positiva o negativa, ciò che sarebbe potuto accadere”.
– Bernard Stiegler, “Memory”2
Nel libro La technique e le temps del 1998, il filosofo e teorico dei media Bernard Stiegler introduce i lettori al termine ingombrante di “memoria epifilogenetica.”3 Secondo la tesi di Stiegler, la memoria si articola in tre forme: memoria genetica, programmata nel nostro DNA; memoria epigenetica, acquisita nell’arco della vita; e memoria racchiusa nei sistemi e nei manufatti tecnici. Quest’ultimo “terzo spazio” di memoria ricorre a strumenti esterni per conservare una memoria impersonale e collettiva. Per Stiegler rappresenta un aspetto cruciale nella nostra creazione del tempo: attraverso la memoria epifilogenetica, tramandata dai nostri antenati, pensiamo e valutiamo il passato, il presente e il futuro.
L’idea di una memoria collettiva contenuta in oggetti esterni, che spaziano dal mezzo televisivo ai feed di Instagram, sembra una realtà contemporanea consueta dal momento che ogni giorno proviamo a conservare, ordinare e dare coerenza alle nostre storie personali e di massa. Eppure, secondo Stiegler, l’esternalizzazione della memoria dall’organico al tecnico (cioè tutto ciò che è esteriorizzazione dell’umano, dagli strumenti rudimentali ai gesti comunicativi fino alla scrittura e all’informatica contemporanea) non è solo un tratto della costruzione storica moderna: al contrario, plasma attivamente la natura dell’umano. Nelle parole di Stiegler, l’umano è unicamente “un essere vivente caratterizzato nelle sue forme di vita dal non-vivente”. La nostra evoluzione è a tutti gli effetti l’evoluzione dei nostri supporti tecnici.
In questa prospettiva, esiste una frizione fondamentale nell’atto di legare la memoria vivente a degli “strumenti morti” e di affidarci a questi sistemi e alla loro evoluzione, esponendoci alla perdita e alla dislocazione della memoria. La dislocazione strutturale avvenuta in seno a un’economia dell’informazione industrializzata trasforma la memoria in un oggetto di controllo della conoscenza e nella base di una società del controllo. Il paradosso dell’esternalizzazione della memoria come potenziale sede di trasformazione sociale tra l’“io” e il “noi”, ma anche come sede di dissociazione e controllo, rappresenta per Siegler una “battaglia per una politica della memoria” – una lotta per l’agentività collettiva racchiusa nelle pratiche simboliche e nelle formazioni collettive.
LA DISLOCAZIONE STRUTTURALE AVVENUTA IN SENO A UN’ECONOMIA DELL’INFORMAZIONE INDUSTRIALIZZATA TRASFORMA LA MEMORIA IN UN OGGETTO DI CONTROLLO DELLA CONOSCENZA E NELLA BASE DI UNA SOCIETÀ DEL CONTROLLO.
Adrian Paci è nato a Scutari, in Albania, nel 1969. Tra il 1987 e il 1991 ha frequentato l’Accademia delle Arti di Tirana in un periodo di sconvolgimenti nazionali seguiti alla morte del 1985 di Enver Hoxha, primo segretario del Partito del Lavoro d’Albania e di fatto guida del paese. Hoxha salì al potere dopo la sconfitta delle truppe d’occupazione fasciste italiane nel 1944 e dichiarò fedeltà al marxismo-leninismo e al modello stalinista di governo totalitario. Grazie al supporto dell’Unione Sovietica prima e della Cina poi, l’Albania intraprese un rapido processo di industrializzazione negli anni Sessanta e introdusse dei miglioramenti significativi nell’istruzione, nell’assistenza sanitaria e nei servizi sociali. In seguito a questo periodo di rapida crescita, tuttavia, il paese divenne sempre più isolazionista e s’impoverì progressivamente, mentre negli anni Settanta la Cina e l’Unione Sovietica cercavano una distensione politica con l’Occidente, e finì per troncare i rapporti con entrambi i paesi (Hoxha insisteva per l’autonomia). Hoxha ricorse alla repressione politica, inclusi i campi di lavoro forzato, la tortura, le uccisioni extragiudiziali eseguite dalla polizia segreta Sigurimi, per sbarazzarsi dei dissidenti nel suo governo. La morte di Hoxha, dopo un periodo di malattia, segnò l’inizio di una discontinuità nell’ordine sociale e politico albanese – un “interregno” – nel quale il suo successore, il primo segretario Ramiz Allia, introdusse delle riforme economiche e aprì ai rapporti diplomatici con l’Occidente, fino alla caduta del comunismo nel 1991, quando seguì un periodo di grandi manifestazioni studentesche.
Adrian Paci, Interregnum, 2017. Still da video. 17:29 min. Courtesy dell’artista; Galerie Peter Kilchmann, Zurigo; e kaufmann repetto, Milano/New York. Collezione Fondazione In Between Art Film
Alla morte di Hoxha nel 1985 seguirono otto giorni di lutto nazionale e complessi riti funebri. La salma fu esposta per tre giorni e visitata da migliaia di cittadini che attendevano il loro turno in file chilometriche. Le commemorazioni a Tirana furono trasmesse dalla televisione di stato albanese – la prima diretta televisiva nazionale – assicurando così che l’evento assumesse rilevanza storica. Una casa di produzione cinematografica fu ingaggiata per filmare gli avvenimenti nelle altre città albanesi, le registrazioni sul campo poi furono montante in soli cinque giorni per realizzare il documentario Dhimbje e thellë, betim i madh (Un profondo dolore, un grande giuramento). I filmati non utilizzati in Dhimbje e thellë andarono distrutti per mancanza di spazio d’archiviazione e nel 1991 la maggior parte del materiale registrato in diretta a Tirana scomparve dall’archivio della Radio Televisione Albanese.4 La piccola quantità di materiale superstite, che circola sui media albanesi e su internet, consiste soprattutto in filmati approvati e adottati nella narrazione ufficiale.
Interregnum, il video di diciotto minuti di Paci del 2017, sfrutta il materiale filmico e televisivo selezionato da una serie di archivi e risorse online. Oltre al girato delle cerimonie tenutesi alla morte di Hoxha, Interregnum attinge a registrazioni di stato provenienti da paesi diversi dall’Albania – tra cui Cina, Corea del Nord, Unione Sovietica e Jugoslavia – e risalenti al periodo compreso tra gli anni Venti e gli anni Ottanta, documenti che attestano le manifestazioni di lutto nazionale alla morte dei capi di stato comunisti che rappresentarono la fine di un’epoca. Paci interviene in modo discreto nel materiale raccolto. Il suo approccio editoriale conserva la forma essenziale dei segmenti, aggregandoli e tagliandoli per formare una scenografia collettiva del lutto. Tuttavia, le immagini degli oggetti di lutto – cioè i dittatori defunti – sono assenti nel montaggio di Paci, così come ogni altra rappresentazione dell’apparato statale, per esempio le parate militari o i diligenti ufficiali di partito. Nel video si nota anche l’assenza di indicatori temporali e spaziali specifici che – oltre agli indizi visivi nella qualità del materiale e le specificità culturali di abbigliamento, architettura e paesaggio – potrebbero contraddistinguere ciascun evento storico. Invece, in Interregnum, assume un ruolo centrale l’immaginario di un soggetto collettivo, trans-storico e transnazionale dello stato comunista: “il popolo”.
Usando il montaggio per aggregare le registrazioni provenienti da diversi luoghi e periodi, Interregnum sottolinea la riproducibilità della forma e delle aspettative ideologiche che accomunano questi documenti filmici. Tanto la platealità del lutto quanto l’approccio formale alla sua registrazione sono ricorrenti e condivisi nei vari filmati: una doppia rappresentazione fondamentale affinché l’evento sia comunicato nella sua immediatezza e assuma una risonanza trascendente di ampia portata. Il video segue pressappoco una struttura consona alla dottrina consolidata: una sequenza di maestosi paesaggi montani in apertura, poi fotogrammi di famiglie o gruppi di persone ritratti in posa attorno alla radio per sentire la notizia della morte del leader, migliaia di cittadini in fila nelle strade che aspettano stoicamente di onorare la salma, scene di lutto e isteria individuale e collettiva, e infine immagini di folle immense unite in un sol corpo.
Adrian Paci, Interregnum, 2017. Still da video. 17:29 min. Courtesy dell’artista; Galerie Peter Kilchmann, Zurigo; e kaufmann repetto, Milano/New York. Collezione Fondazione In Between Art Film
In Occidente, nell’epoca post-stalinista, i movimenti politici socialisti e comunisti erano visti soprattutto come un’ideologia marxista-leninista pervasiva, animata dal culto del partito unico e del capo. Nei casi di estremismo totalitario comunista disseminati nel Novecento, la morte del “grande capo” era l’esempio forse più evidente della perversità di una rivoluzione proletaria sfociata nella soppressione e nel controllo dittatoriale del popolo. Nel tumulto che circonda questi eventi c’è il paradosso della crisi dell’immaginario politico e del meccanismo di immortalizzazione politica. La repressione programmatica degli oppositori religiosi e politici evoca una sacralizzazione del capo di stato, quale depositario intoccabile del potere e dell’autorità; la sua morte racchiude lo shock della mortalità fisica individuale, ma anche la trascendenza del progetto politico e della logica di potere nella dimensione di “eternità”. La pubblica manifestazione di lutto e il suo allestimento in ottica di rappresentazione globale trasformano la vulnerabilità del dolore e del trauma in oggetti di forza duratura. A questo fine è fondamentale l’esteriorizzazione di una memoria collettiva che appartenga alle persone e al contempo sia dissociata dalla loro esperienza e conoscenza sul campo; la selezione industriale della memoria nel presente ambisce a definire il passato e il futuro.
Paci ha raccontato quanto l’analisi dell’Iliade della filosofa Simone Weil l’abbia aiutato a comprendere le immagini di lutto in Interregnum.5 Nel saggio L’Iliade o il poema della forza (1939), Weil afferma che L’Iliade chiarisce la natura della forza e il modo in cui essa riduce sia l’aggressore sia la vittima alla dimensione di automa non pensante. In particolare spiega le contraddizioni racchiuse nel dolore delle popolazioni asservite nell’Iliade alla morte del padrone:
Quando qualcuno di quelli che gli hanno fatto perdere tutto, che gli hanno saccheggiato la città, massacrato i suoi sotto gli occhi, soffre o muore, lo schiavo piange. Perché no? Solo allora gli è concesso piangere, gli è addirittura imposto. Ma in schiavitù le lacrime non sono forse pronte a sgorgare impunemente, non appena possibile?6
IN UNA CONDIZIONE TOTALITARIA E IN UNA SOCIETÀ DELLA FORZA, WEIL RIFLETTE SULLA MANIFESTAZIONE ESTERIORE DELLE EMOZIONI, NORMATA AL PUNTO CHE, QUANDO È PERMESSA E PREVISTA, QUESTA MANIFESTAZIONE VIENE SFRUTTATA A FINI DRAMMATICI COME UN ATTREZZO SCENICO, PUR OFFRENDO UNA VALVOLA DI SFOGO ALLA DISPERAZIONE ACCUMULATA.
In una condizione totalitaria e in una società della forza, Weil riflette sulla manifestazione esteriore delle emozioni, normata al punto che, quando è permessa e prevista, questa manifestazione viene sfruttata a fini drammatici come un attrezzo scenico, pur offrendo una valvola di sfogo alla disperazione accumulata. Nella definizione di Weil “la forza rende chiunque le è sottomesso pari a una cosa” – la trasformazione in “cosa” riecheggia il passaggio da “organico a tecnico” nella memoria epifilogenetica di Stiegler.7 In questa formulazione, le persone soggette alla forza diventano esse stesse veicoli tecnici o, nelle parole di Stiegler, “organi mnemotenici” e la loro “memoria è passata nella macchina riproduttrice dei gesti che questo proletariato non ha più necessità di saper fare, dato che deve semplicemente servire.”8
In Interregnum si trova uno sdoppiamento della riduzione a cosa. Vediamo centinaia di corpi, attraverso il tempo e le nazioni, che fungono da “organi mnemotenici” nella riproduzione di gesti e di cordoglio impersonale; al tempo stesso ci accorgiamo che le registrazioni storiche raccolte da Paci fungono da tecnica specifica e riproducibile. Eppure l’opera di Paci, nonostante ritragga un sistema di governo comunista transnazionale e trans-storico, non dà la sensazione di concretizzare una memoria collettiva unificata. Come suggerisce il titolo, Interregnum usa lo spazio interstiziale, lo stato di sospensione della norma consolidata, come dispositivo metodologico. Sebbene le riprese selezionate da Paci appartengano materialmente alla macchina ufficiale di produzione immagini, la somma delle azioni di decostruzione e di riorganizzazione operate nei numerosi manufatti filmici attira l’attenzione sullo spazio tra il reale e la messinscena, sulla discrepanza tra condizione interiorizzata dal popolo ed esteriorizzata dalla tecnica. Molti dei fotogrammi nel video di Paci mostrano un movimento laterale sui volti e sulla metà superiore del corpo ai funerali, le persone sono colte nel passaggio accanto alla macchina da presa oppure nel momento in cui è la macchina a scrutarli. Pur suggerendo la formalità ordinata di una fila di persone, un corpo collettivo, queste immagini rivelano l’espressione emotiva individuale, che spazia dal lutto isterico al dolore che scuote il corpo, fino ai volti congelati in apparente rassegnazione. Osservando il video da una distanza storica, noi spettatori ci confrontiamo con la difficoltà di trattare una serie di immagini che raffigurano stati emotivi ufficialmente consoni alla gravità del momento, ma potenzialmente rivelatori di un trauma personale e collettivo più profondo.
Adrian Paci, Vajtojca, 2002. Still da video. 9 min. Courtesy dell’artista; Galerie Peter Kilchmann, Zurigo; e kaufmann repetto, Milano/New York
Eliminando i corpi e le bare dei leader defunti in Interregnum, Paci compie un intervento destabilizzante nel processo d’immortalizzazione dei dittatori ufficialmente documentato. Ma un intervento forse ancora più significativo è la compressione dei suoni presenti nelle riprese originali in un brusio di sottofondo a volte quasi impercettibile. Questa ricomposizione sonora crea un filo conduttore nelle immagini accostate e al tempo stesso attira l’attenzione sulla mancanza di vocalizzazione del lutto – i pianti, i lamenti, le orazioni patriottiche e i suoni delle sirene che sicuramente avevano accompagnato la morte del “glorioso comandante”. Le esternazioni sono presenti visivamente, osserviamo le facce distorte nell’esclamazione, ma le rispettive espressioni auricolari sono ridotte e astratte nella tremula colonna sonora a bassa frequenza. In un articolo sul funerale di Hoxha, l’antropologo Bledar Kondi sottolinea l’importanza dei “suoni modellati culturalmente” come strumento di controllo nei regimi dittatoriali. In seguito alla morte di Hoxha, racconta, “il panorama musicale di ‘dolore che rasentava il trauma per Enver Hoxha’ era plasmato da una costellazione di eventi sonori distinti, [inclusi] i singhiozzi spontanei, i lamenti funebri, i canti funerari e i lamenti strumentali della tradizione popolare.”9 L’Albania ha una lunga tradizione di lamenti funebri rituali che enfatizzano una sorta di resa dei conti nella sepoltura, anziché una speranza nell’aldilà. Come scrive Kondi: “i lamenti funebri rituali sono un liber vitae non scritto di ciascun individuo, una somma di gesti e parole significativi condensati nella memoria collettiva e proiettati in simboli di moralità e destino umano.”10 Nella tradizione dei “lamenti funebri” solitamente eseguiti dalle donne “ogni prefica deve ‘conversare’ con il defunto”. Nell’opera video Vajtojca (prefica) del 2002, prodotta quindici anni prima di Interregnum, Paci documenta l’azione di una professionista albanese pagata per eseguire “un lamento funebre” sul suo corpo vivo. Poiché la transazione si conclude con una stretta di mano, il rituale sembra svelare una forma di finzione emotiva; ma la performance nel suo insieme, separata dalla morte reale, sottolinea invece una serie prolungata di relazioni sociali comunitarie e personali che si incarnano nell’intreccio tra espressione fisica e linguaggio. In Vajtojca Paci costruisce una scena dove il lamento (“piangere il destino del morto”) esplicita il senso di colpa auto-critico per aver lasciato l’Albania cinque anni prima, insieme alla critica di stampo famigliare per il senso di perdita e abbandono che la sua morte provocherebbe alla moglie e alle figlie.
Adrian Paci, Vajtojca, 2002. Still da video. 9 min. Courtesy dell’artista; Galerie Peter Kilchmann, Zurigo; e kaufmann repetto, Milano/New York
La ricerca di Kondi negli archivi dell’Istituto di Cultura Popolare di Tirana individua oltre centoventi filmati realizzati da studiosi di tradizioni popolari in tutta l’Albania, che documentano scene di lamento collettive e individuali per la morte di Hoxha. Kondi sottolinea: “Sebbene la musica popolare fosse un mezzo potente, intriso di linguaggio politico e veicolo di messaggi ideologici, gli studiosi di tradizioni popolari si sono concentrati soprattutto sul contenuto verbale dei lamenti […] ignorando la componente performativa, il comportamento emotivo e l’espressione musicale del dolore, del lutto, dell’angoscia e del rifiuto della morte.”11 Per certi versi Interregnum opera una distillazione contraria, rimuovendo ogni lamento o esclamazione udibile e attirando l’attenzione degli spettatori sulla componente performativa ed emotiva. La ricorsività di certi gesti è amplificata – dal braccio destro alzato con il pugno chiuso del saluto hohxista o maoista, alla moltitudine di occhi bassi e teste chine. Sottraendo il linguaggio, Paci articola la presenza del potere non soltanto attraverso la testualità dell’ideologia, ma all’interno del corpo collettivo e individuale. Così arriviamo a concepire il materiale mediatico che compone Interregnum come uno strumento nella “politica della memoria”, impegnato nella costruzione di passato, presente e futuro; ma comprendiamo anche negli stessi termini lo sfruttamento dei corpi fisici, del sistema nervoso e dei gesti sociali. I filoni di socialità e di significato temporaneamente dispiegati all’interno del lamento funebre sono strumentalizzati attraverso la forza, eppure mantengono la capacità di mediare tra l’esperienza psichica individuale e collettiva.
Stiegler avanza una teoria della memoria secondo cui “la tecnica costituisce la vita come e-sistenza,”12 dove il concetto di “e-sistenza” inquadra la coscienza umana in un processo costante di proiezione verso l’esterno, anziché come vita interiore. È un tentativo di allontanarsi dalla contrapposizione platonica tra una conoscenza innata dell’essere umano (“anamnesi”) e la resa della memoria a un oggetto tecnico (“ipomnesi”). La memoria epifilogenetica è al tempo stesso prodotto di un’esperienza individuale e supporto che consente alla conoscenza di accumularsi nell’arco delle generazioni. Ma per Stiegler questo rapporto fondamentale è ostacolato dall’industrializzazione e dalla separazione tra produttore e consumatore. L’avvento della macchina analogica come intermediario sostituisce il processo di codifica e decodifica della “grammaticalizzazione” – grazie alla quale “le correnti e le continuità che plasmano le nostre vite diventano elementi discreti” nel discorso, nella scrittura e nella lettura – con una ripetizione di gesti fisici. Per partecipare alla produzione di una merce il lavoratore non ha bisogno di sapere come è fatta o si usa, ma semplicemente quali sono i movimenti fisici necessari a manovrare la macchina. Allo stesso modo l’industrializzazione richiede un consumo di massa, e la produzione di consumatori richiede il continuo condizionamento del comportamento verso una novità consumabile, un processo reso possibile dai mass media. Nei momenti di produzione e in quelli di consumo si perde la possibilità dell’anamnesi, di una conoscenza innata; la conseguenza è un dominio del confinamento della memoria nell’oggetto tecnico. Per Stiegler questo cortocircuito nell’interlocuzione tra ipomnesi e anamnesi determina una rottura nei “contesti sociali dove si individuano le esistenze psichiche, e con loro nei gruppi dove le esistenze psichiche dialogano e si trasformano attraverso i dialoghi.”13 Se restiamo esclusi dal processo di codifica e decodifica della memoria, e “la società è divisa tra produttori e consumatori di simboli”, allora restiamo esclusi da un processo di memoria “trans-individuale”, dove l’“io” e il “noi” si trasformano a vicenda.14
Adrian Paci, Interregnum, 2017. Still da video. 17:29 min. Courtesy dell’artista; Galerie Peter Kilchmann, Zurigo; e kaufmann repetto, Milano/New York. Collezione Fondazione In Between Art Film
Attraverso Interregnum e la sua pratica artistica più in generale, Paci ambisce a riaprire uno spazio di memoria collettiva trasformativa che sia contrapposto alla forza coercitiva e alla “macchina riproduttrice dei gesti”. Il video, quindi, non è una semplice critica all’oppressione e al totalitarismo comunisti, ma è una finestra vitale per comprendere in modo più ampio la memoria nella società industriale, sia sotto l’ideologia socialista che capitalista, e all’interno della società digitale contemporanea. Il titolo del video di Paci e il suo riferimento all’“interregno” citato da Antonio Gramsci nei suoi quaderni dal carcere, scritti tra il 1929 e il 1935, qui assume un nuovo significato. Gramsci riteneva che la “crisi” innescata dalla Grande Depressione e dall’indebolimento del consenso nell’egemonia capitalista fosse un’opportunità di affermare l’ideologia anticapitalista e il socialismo internazionale dei lavoratori. Gramsci previde però che la debolezza e l’incertezza della classe lavoratrice internazionale in realtà avrebbe lasciato campo libero all’ascesa dei “sintomi morbosi” dell’estrema destra, del populismo, del nazionalismo fascista e del comunismo di ultrasinistra, fondato sulle direttive staliniste del “socialismo in un solo paese”. L’“interregno” è un momento di potenziale trasformazione, dove la politica della memoria rappresenta un campo di battaglia fondamentale tra le forze coercitive e l’identificazione intrecciata tra cittadino e sistema di governo. La produzione di Interregnum di Paci nel 2017 espone la posta in gioco nell’attuale interregno globale, dove l’ascesa dei nazionalismi populisti e la portata sempre più ampia del capitalismo cognitivo riaffermano la dislocazione e la manipolazione della memoria esternalizzata in linguaggio, simboli, oggetti tecnici e passati fittizi. Nella sua forma – quale montaggio di materiale mediatico abilitato dalla codifica e decodifica insite nella digitalizzazione – e nell’individuazione di un attaccamento non mediato nella messa in scena della memoria, Interregnum ambisce a ricostruire “i circuiti di trans-individuazione” necessari a una formazione comunitaria significativa.15
—Traduzione dall’inglese di Alessandra Castellazzi
Richard Birkett, Scrittore e curatore indipendente
Richard Birkett è un curatore e scrittore che vive a Glasgow, Regno Unito. È stato Capo Curatore presso l’Institute of Contemporary Arts di Londra, dal 2017 al 2020, e in precedenza Curatore presso l’Artists Space di New York. Ha anche organizzato mostre alla Yale Union di Portland, Oregon; mumok, Vienna; PS1 MoMA, New York; e la National Gallery of Kosovo, Pristina. Attraverso questi ruoli e progetti, ha lavorato con artisti, scrittori, registi e artisti tra cui Terry Atkinson, Julie Becker, Bernadette Corporation, Chto Delat?, Forensic Architecture, Emma Hedditch, Morag Keil e Georgie Nettell, Chris Kraus, Taylor Le Melle, Laura Poitras, Cameron Rowland, Hito Steyerl e The Wooster Group. Ha curato e scritto per pubblicazioni tra cui Cosey Complex (con Maria Fusco, 2012), Bernadette Corporation: 2000 Wasted Years (con BC, Jim Fletcher e Stefan Kalmár, 2013) e Tell It To My Heart – Collected by Julie Ault, Volume 2 (con Julie Ault e Martin Beck, 2015).
Adrian Paci, Artista
Adrian Paci (nato nel 1969 a Scutari, Albania) ha studiato pittura all’Accademia d’Arte di Tirana. Nel 1997 si è trasferito a Milano dove vive e lavora. Nel corso della sua carriera ha tenuto numerose mostre personali in diverse istituzioni internazionali come Kunsthalle, Krems (2020); Galleria Nazionale delle Arti, Tirana (2019); Museo Novecento, Firenze (2017); MAC, Musée d’Art Contemporain de Montréal (2014); Padiglione d’Arte Contemporanea – PAC, Milano (2014); Jeu de Paume, Parigi (2013); National Gallery of Kosovo, Pristina (2012); Kunsthaus Zurigo, Zurigo (2010); IThe Center for Contemporary Art – CCA, Tel Aviv (2009); Museum am Ostwall, Dortmund (2007); MoMA PS1, New York (2006); e Contemporary Arts Museum, Houston (2005). Il lavoro di Paci è stato anche presentato in molte mostre collettive, tra cui la 14. Mostra Internazionale di Architettura – La Biennale di Venezia (2014); la 48a e la 51a edizione dell’Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia (rispettivamente nel 1999 e nel 2005); la XV Biennale di Sydney (2006); la XV Quadriennale di Roma, dove ha vinto il primo premio (2008); la Biennale de Lyon (2009); e la 4a Thessaloniki Biennale of Contemporary Art (2013).
1 Antonio Gramsci, Quaderni dal carcere, volume primo, Einaudi, Torino 1975, p. 311
2 Bernard Stiegler, “Memory” in Critical Terms for Media Studies, a cura di W. J. T. Mitchell e Mark Hansen, Chicago University Press, Chicago 2010, pp. 77, 80
3 Bernard Stiegler, La technique e le temps, Edition Galilée, Parigi 1994
4 Bledar Kondi, “Even the Gods Die… The State Funeral and National Mourning for the Albanian Communist Dictator Enver Haxha”, in Traditiones 29, numero 2 (dicembre 2020), pp. 125-126
5 Conversazione tra Adrian Paci e l’autore, 2021
6 Weil, L’Iliade o il poema della forza, traduzione di Francesca Rubini, Asterios Editore, Trieste 2012, p. 48
7 Ibidem, p. 39
8 Bernard Stiegler, La società automatica. L’avvenire del lavoro, traduzione di Sara Baranzoni, Igor Pelgreffi, Paolo Vignola, Mimesis, Milano 2019
9 Kondi, “Even the Gods Die…” , p. 133
10 Bledar Kondi, Death and Ritual Crying: An anthropological approach to Albanian funeral customs, Logos Verlag, Berlino 2012, p. 126
11 Kondi, “Even the Gods Die…”, p. 126
12 Stiegler, La technique et le temps
13 Stiegler, “Memory”, p. 82
14 Stiegler elabora le teorie dell’individuazione di Gilbert Simondon, dove l’individuale è qualcosa che viene prodotto in un processo continuo, sia a livello della singola persona sia attraverso le formazioni di gruppi sociali. Si veda: Gilbert Simondon, L’individuazione alla luce delle nozioni di forma e informazione, Mimesis, Milano 2010.
15 Simondon, Individuazione
Una politica della memoria
Attingendo a pellicole e filmati televisivi delle cerimonie funebri di grandi leader comunisti, l’artista compone una scenografia del lutto transnazionale e trans-storica, sottolineando l’uso politico della memoria nella costruzione e nella riproduzione di passati, presenti e futuri fittizi.
Adrian Paci, Interregnum, 2017. Still da video. 17:29 min. Courtesy dell’artista; Galerie Peter Kilchmann, Zurigo; e kaufmann repetto, Milano/New York. Collezione Fondazione In Between Art Film
“La crisi consiste appunto nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati”.
– Antonio Gramsci, Quaderni dal carcere1
“Ogni società si fonda sull’adozione di un passato fittizio che rimuove le origini diverse degli individui e facilita l’identificazione di un futuro comune, attraverso una politica della memoria e dell’oblio […]. La conservazione della memoria, di ciò che è memorabile, che a sua volta è costituito dalla selezione di ciò che è memorizzabile, è sempre un’elaborazione; non è mai il semplice resoconto dell’accaduto. L’accaduto accade soltanto non accadendo davvero. Si ricorda solo dimenticando, rimuovendo, selezionando quel che merita di essere trattenuto da tutto ciò che si potrebbe trattenere; analogamente, si ricorda solo anticipando, in maniera positiva o negativa, ciò che sarebbe potuto accadere”.
– Bernard Stiegler, “Memory”2
Nel libro La technique e le temps del 1998, il filosofo e teorico dei media Bernard Stiegler introduce i lettori al termine ingombrante di “memoria epifilogenetica.”3 Secondo la tesi di Stiegler, la memoria si articola in tre forme: memoria genetica, programmata nel nostro DNA; memoria epigenetica, acquisita nell’arco della vita; e memoria racchiusa nei sistemi e nei manufatti tecnici. Quest’ultimo “terzo spazio” di memoria ricorre a strumenti esterni per conservare una memoria impersonale e collettiva. Per Stiegler rappresenta un aspetto cruciale nella nostra creazione del tempo: attraverso la memoria epifilogenetica, tramandata dai nostri antenati, pensiamo e valutiamo il passato, il presente e il futuro.
L’idea di una memoria collettiva contenuta in oggetti esterni, che spaziano dal mezzo televisivo ai feed di Instagram, sembra una realtà contemporanea consueta dal momento che ogni giorno proviamo a conservare, ordinare e dare coerenza alle nostre storie personali e di massa. Eppure, secondo Stiegler, l’esternalizzazione della memoria dall’organico al tecnico (cioè tutto ciò che è esteriorizzazione dell’umano, dagli strumenti rudimentali ai gesti comunicativi fino alla scrittura e all’informatica contemporanea) non è solo un tratto della costruzione storica moderna: al contrario, plasma attivamente la natura dell’umano. Nelle parole di Stiegler, l’umano è unicamente “un essere vivente caratterizzato nelle sue forme di vita dal non-vivente”. La nostra evoluzione è a tutti gli effetti l’evoluzione dei nostri supporti tecnici.
In questa prospettiva, esiste una frizione fondamentale nell’atto di legare la memoria vivente a degli “strumenti morti” e di affidarci a questi sistemi e alla loro evoluzione, esponendoci alla perdita e alla dislocazione della memoria. La dislocazione strutturale avvenuta in seno a un’economia dell’informazione industrializzata trasforma la memoria in un oggetto di controllo della conoscenza e nella base di una società del controllo. Il paradosso dell’esternalizzazione della memoria come potenziale sede di trasformazione sociale tra l’“io” e il “noi”, ma anche come sede di dissociazione e controllo, rappresenta per Siegler una “battaglia per una politica della memoria” – una lotta per l’agentività collettiva racchiusa nelle pratiche simboliche e nelle formazioni collettive.
LA DISLOCAZIONE STRUTTURALE AVVENUTA IN SENO A UN’ECONOMIA DELL’INFORMAZIONE INDUSTRIALIZZATA TRASFORMA LA MEMORIA IN UN OGGETTO DI CONTROLLO DELLA CONOSCENZA E NELLA BASE DI UNA SOCIETÀ DEL CONTROLLO.
Adrian Paci è nato a Scutari, in Albania, nel 1969. Tra il 1987 e il 1991 ha frequentato l’Accademia delle Arti di Tirana in un periodo di sconvolgimenti nazionali seguiti alla morte del 1985 di Enver Hoxha, primo segretario del Partito del Lavoro d’Albania e di fatto guida del paese. Hoxha salì al potere dopo la sconfitta delle truppe d’occupazione fasciste italiane nel 1944 e dichiarò fedeltà al marxismo-leninismo e al modello stalinista di governo totalitario. Grazie al supporto dell’Unione Sovietica prima e della Cina poi, l’Albania intraprese un rapido processo di industrializzazione negli anni Sessanta e introdusse dei miglioramenti significativi nell’istruzione, nell’assistenza sanitaria e nei servizi sociali. In seguito a questo periodo di rapida crescita, tuttavia, il paese divenne sempre più isolazionista e s’impoverì progressivamente, mentre negli anni Settanta la Cina e l’Unione Sovietica cercavano una distensione politica con l’Occidente, e finì per troncare i rapporti con entrambi i paesi (Hoxha insisteva per l’autonomia). Hoxha ricorse alla repressione politica, inclusi i campi di lavoro forzato, la tortura, le uccisioni extragiudiziali eseguite dalla polizia segreta Sigurimi, per sbarazzarsi dei dissidenti nel suo governo. La morte di Hoxha, dopo un periodo di malattia, segnò l’inizio di una discontinuità nell’ordine sociale e politico albanese – un “interregno” – nel quale il suo successore, il primo segretario Ramiz Allia, introdusse delle riforme economiche e aprì ai rapporti diplomatici con l’Occidente, fino alla caduta del comunismo nel 1991, quando seguì un periodo di grandi manifestazioni studentesche.
Adrian Paci, Interregnum, 2017. Still da video. 17:29 min. Courtesy dell’artista; Galerie Peter Kilchmann, Zurigo; e kaufmann repetto, Milano/New York. Collezione Fondazione In Between Art Film
Alla morte di Hoxha nel 1985 seguirono otto giorni di lutto nazionale e complessi riti funebri. La salma fu esposta per tre giorni e visitata da migliaia di cittadini che attendevano il loro turno in file chilometriche. Le commemorazioni a Tirana furono trasmesse dalla televisione di stato albanese – la prima diretta televisiva nazionale – assicurando così che l’evento assumesse rilevanza storica. Una casa di produzione cinematografica fu ingaggiata per filmare gli avvenimenti nelle altre città albanesi, le registrazioni sul campo poi furono montante in soli cinque giorni per realizzare il documentario Dhimbje e thellë, betim i madh (Un profondo dolore, un grande giuramento). I filmati non utilizzati in Dhimbje e thellë andarono distrutti per mancanza di spazio d’archiviazione e nel 1991 la maggior parte del materiale registrato in diretta a Tirana scomparve dall’archivio della Radio Televisione Albanese.4 La piccola quantità di materiale superstite, che circola sui media albanesi e su internet, consiste soprattutto in filmati approvati e adottati nella narrazione ufficiale.
Interregnum, il video di diciotto minuti di Paci del 2017, sfrutta il materiale filmico e televisivo selezionato da una serie di archivi e risorse online. Oltre al girato delle cerimonie tenutesi alla morte di Hoxha, Interregnum attinge a registrazioni di stato provenienti da paesi diversi dall’Albania – tra cui Cina, Corea del Nord, Unione Sovietica e Jugoslavia – e risalenti al periodo compreso tra gli anni Venti e gli anni Ottanta, documenti che attestano le manifestazioni di lutto nazionale alla morte dei capi di stato comunisti che rappresentarono la fine di un’epoca. Paci interviene in modo discreto nel materiale raccolto. Il suo approccio editoriale conserva la forma essenziale dei segmenti, aggregandoli e tagliandoli per formare una scenografia collettiva del lutto. Tuttavia, le immagini degli oggetti di lutto – cioè i dittatori defunti – sono assenti nel montaggio di Paci, così come ogni altra rappresentazione dell’apparato statale, per esempio le parate militari o i diligenti ufficiali di partito. Nel video si nota anche l’assenza di indicatori temporali e spaziali specifici che – oltre agli indizi visivi nella qualità del materiale e le specificità culturali di abbigliamento, architettura e paesaggio – potrebbero contraddistinguere ciascun evento storico. Invece, in Interregnum, assume un ruolo centrale l’immaginario di un soggetto collettivo, trans-storico e transnazionale dello stato comunista: “il popolo”.
Usando il montaggio per aggregare le registrazioni provenienti da diversi luoghi e periodi, Interregnum sottolinea la riproducibilità della forma e delle aspettative ideologiche che accomunano questi documenti filmici. Tanto la platealità del lutto quanto l’approccio formale alla sua registrazione sono ricorrenti e condivisi nei vari filmati: una doppia rappresentazione fondamentale affinché l’evento sia comunicato nella sua immediatezza e assuma una risonanza trascendente di ampia portata. Il video segue pressappoco una struttura consona alla dottrina consolidata: una sequenza di maestosi paesaggi montani in apertura, poi fotogrammi di famiglie o gruppi di persone ritratti in posa attorno alla radio per sentire la notizia della morte del leader, migliaia di cittadini in fila nelle strade che aspettano stoicamente di onorare la salma, scene di lutto e isteria individuale e collettiva, e infine immagini di folle immense unite in un sol corpo.
Adrian Paci, Interregnum, 2017. Still da video. 17:29 min. Courtesy dell’artista; Galerie Peter Kilchmann, Zurigo; e kaufmann repetto, Milano/New York. Collezione Fondazione In Between Art Film
In Occidente, nell’epoca post-stalinista, i movimenti politici socialisti e comunisti erano visti soprattutto come un’ideologia marxista-leninista pervasiva, animata dal culto del partito unico e del capo. Nei casi di estremismo totalitario comunista disseminati nel Novecento, la morte del “grande capo” era l’esempio forse più evidente della perversità di una rivoluzione proletaria sfociata nella soppressione e nel controllo dittatoriale del popolo. Nel tumulto che circonda questi eventi c’è il paradosso della crisi dell’immaginario politico e del meccanismo di immortalizzazione politica. La repressione programmatica degli oppositori religiosi e politici evoca una sacralizzazione del capo di stato, quale depositario intoccabile del potere e dell’autorità; la sua morte racchiude lo shock della mortalità fisica individuale, ma anche la trascendenza del progetto politico e della logica di potere nella dimensione di “eternità”. La pubblica manifestazione di lutto e il suo allestimento in ottica di rappresentazione globale trasformano la vulnerabilità del dolore e del trauma in oggetti di forza duratura. A questo fine è fondamentale l’esteriorizzazione di una memoria collettiva che appartenga alle persone e al contempo sia dissociata dalla loro esperienza e conoscenza sul campo; la selezione industriale della memoria nel presente ambisce a definire il passato e il futuro.
Paci ha raccontato quanto l’analisi dell’Iliade della filosofa Simone Weil l’abbia aiutato a comprendere le immagini di lutto in Interregnum.5 Nel saggio L’Iliade o il poema della forza (1939), Weil afferma che L’Iliade chiarisce la natura della forza e il modo in cui essa riduce sia l’aggressore sia la vittima alla dimensione di automa non pensante. In particolare spiega le contraddizioni racchiuse nel dolore delle popolazioni asservite nell’Iliade alla morte del padrone:
Quando qualcuno di quelli che gli hanno fatto perdere tutto, che gli hanno saccheggiato la città, massacrato i suoi sotto gli occhi, soffre o muore, lo schiavo piange. Perché no? Solo allora gli è concesso piangere, gli è addirittura imposto. Ma in schiavitù le lacrime non sono forse pronte a sgorgare impunemente, non appena possibile?6
IN UNA CONDIZIONE TOTALITARIA E IN UNA SOCIETÀ DELLA FORZA, WEIL RIFLETTE SULLA MANIFESTAZIONE ESTERIORE DELLE EMOZIONI, NORMATA AL PUNTO CHE, QUANDO È PERMESSA E PREVISTA, QUESTA MANIFESTAZIONE VIENE SFRUTTATA A FINI DRAMMATICI COME UN ATTREZZO SCENICO, PUR OFFRENDO UNA VALVOLA DI SFOGO ALLA DISPERAZIONE ACCUMULATA.
In una condizione totalitaria e in una società della forza, Weil riflette sulla manifestazione esteriore delle emozioni, normata al punto che, quando è permessa e prevista, questa manifestazione viene sfruttata a fini drammatici come un attrezzo scenico, pur offrendo una valvola di sfogo alla disperazione accumulata. Nella definizione di Weil “la forza rende chiunque le è sottomesso pari a una cosa” – la trasformazione in “cosa” riecheggia il passaggio da “organico a tecnico” nella memoria epifilogenetica di Stiegler.7 In questa formulazione, le persone soggette alla forza diventano esse stesse veicoli tecnici o, nelle parole di Stiegler, “organi mnemotenici” e la loro “memoria è passata nella macchina riproduttrice dei gesti che questo proletariato non ha più necessità di saper fare, dato che deve semplicemente servire.”8
In Interregnum si trova uno sdoppiamento della riduzione a cosa. Vediamo centinaia di corpi, attraverso il tempo e le nazioni, che fungono da “organi mnemotenici” nella riproduzione di gesti e di cordoglio impersonale; al tempo stesso ci accorgiamo che le registrazioni storiche raccolte da Paci fungono da tecnica specifica e riproducibile. Eppure l’opera di Paci, nonostante ritragga un sistema di governo comunista transnazionale e trans-storico, non dà la sensazione di concretizzare una memoria collettiva unificata. Come suggerisce il titolo, Interregnum usa lo spazio interstiziale, lo stato di sospensione della norma consolidata, come dispositivo metodologico. Sebbene le riprese selezionate da Paci appartengano materialmente alla macchina ufficiale di produzione immagini, la somma delle azioni di decostruzione e di riorganizzazione operate nei numerosi manufatti filmici attira l’attenzione sullo spazio tra il reale e la messinscena, sulla discrepanza tra condizione interiorizzata dal popolo ed esteriorizzata dalla tecnica. Molti dei fotogrammi nel video di Paci mostrano un movimento laterale sui volti e sulla metà superiore del corpo ai funerali, le persone sono colte nel passaggio accanto alla macchina da presa oppure nel momento in cui è la macchina a scrutarli. Pur suggerendo la formalità ordinata di una fila di persone, un corpo collettivo, queste immagini rivelano l’espressione emotiva individuale, che spazia dal lutto isterico al dolore che scuote il corpo, fino ai volti congelati in apparente rassegnazione. Osservando il video da una distanza storica, noi spettatori ci confrontiamo con la difficoltà di trattare una serie di immagini che raffigurano stati emotivi ufficialmente consoni alla gravità del momento, ma potenzialmente rivelatori di un trauma personale e collettivo più profondo.
Adrian Paci, Vajtojca, 2002. Still da video. 9 min. Courtesy dell’artista; Galerie Peter Kilchmann, Zurigo; e kaufmann repetto, Milano/New York
Eliminando i corpi e le bare dei leader defunti in Interregnum, Paci compie un intervento destabilizzante nel processo d’immortalizzazione dei dittatori ufficialmente documentato. Ma un intervento forse ancora più significativo è la compressione dei suoni presenti nelle riprese originali in un brusio di sottofondo a volte quasi impercettibile. Questa ricomposizione sonora crea un filo conduttore nelle immagini accostate e al tempo stesso attira l’attenzione sulla mancanza di vocalizzazione del lutto – i pianti, i lamenti, le orazioni patriottiche e i suoni delle sirene che sicuramente avevano accompagnato la morte del “glorioso comandante”. Le esternazioni sono presenti visivamente, osserviamo le facce distorte nell’esclamazione, ma le rispettive espressioni auricolari sono ridotte e astratte nella tremula colonna sonora a bassa frequenza. In un articolo sul funerale di Hoxha, l’antropologo Bledar Kondi sottolinea l’importanza dei “suoni modellati culturalmente” come strumento di controllo nei regimi dittatoriali. In seguito alla morte di Hoxha, racconta, “il panorama musicale di ‘dolore che rasentava il trauma per Enver Hoxha’ era plasmato da una costellazione di eventi sonori distinti, [inclusi] i singhiozzi spontanei, i lamenti funebri, i canti funerari e i lamenti strumentali della tradizione popolare.”9 L’Albania ha una lunga tradizione di lamenti funebri rituali che enfatizzano una sorta di resa dei conti nella sepoltura, anziché una speranza nell’aldilà. Come scrive Kondi: “i lamenti funebri rituali sono un liber vitae non scritto di ciascun individuo, una somma di gesti e parole significativi condensati nella memoria collettiva e proiettati in simboli di moralità e destino umano.”10 Nella tradizione dei “lamenti funebri” solitamente eseguiti dalle donne “ogni prefica deve ‘conversare’ con il defunto”. Nell’opera video Vajtojca (prefica) del 2002, prodotta quindici anni prima di Interregnum, Paci documenta l’azione di una professionista albanese pagata per eseguire “un lamento funebre” sul suo corpo vivo. Poiché la transazione si conclude con una stretta di mano, il rituale sembra svelare una forma di finzione emotiva; ma la performance nel suo insieme, separata dalla morte reale, sottolinea invece una serie prolungata di relazioni sociali comunitarie e personali che si incarnano nell’intreccio tra espressione fisica e linguaggio. In Vajtojca Paci costruisce una scena dove il lamento (“piangere il destino del morto”) esplicita il senso di colpa auto-critico per aver lasciato l’Albania cinque anni prima, insieme alla critica di stampo famigliare per il senso di perdita e abbandono che la sua morte provocherebbe alla moglie e alle figlie.
Adrian Paci, Vajtojca, 2002. Still da video. 9 min. Courtesy dell’artista; Galerie Peter Kilchmann, Zurigo; e kaufmann repetto, Milano/New York
La ricerca di Kondi negli archivi dell’Istituto di Cultura Popolare di Tirana individua oltre centoventi filmati realizzati da studiosi di tradizioni popolari in tutta l’Albania, che documentano scene di lamento collettive e individuali per la morte di Hoxha. Kondi sottolinea: “Sebbene la musica popolare fosse un mezzo potente, intriso di linguaggio politico e veicolo di messaggi ideologici, gli studiosi di tradizioni popolari si sono concentrati soprattutto sul contenuto verbale dei lamenti […] ignorando la componente performativa, il comportamento emotivo e l’espressione musicale del dolore, del lutto, dell’angoscia e del rifiuto della morte.”11 Per certi versi Interregnum opera una distillazione contraria, rimuovendo ogni lamento o esclamazione udibile e attirando l’attenzione degli spettatori sulla componente performativa ed emotiva. La ricorsività di certi gesti è amplificata – dal braccio destro alzato con il pugno chiuso del saluto hohxista o maoista, alla moltitudine di occhi bassi e teste chine. Sottraendo il linguaggio, Paci articola la presenza del potere non soltanto attraverso la testualità dell’ideologia, ma all’interno del corpo collettivo e individuale. Così arriviamo a concepire il materiale mediatico che compone Interregnum come uno strumento nella “politica della memoria”, impegnato nella costruzione di passato, presente e futuro; ma comprendiamo anche negli stessi termini lo sfruttamento dei corpi fisici, del sistema nervoso e dei gesti sociali. I filoni di socialità e di significato temporaneamente dispiegati all’interno del lamento funebre sono strumentalizzati attraverso la forza, eppure mantengono la capacità di mediare tra l’esperienza psichica individuale e collettiva.
Stiegler avanza una teoria della memoria secondo cui “la tecnica costituisce la vita come e-sistenza,”12 dove il concetto di “e-sistenza” inquadra la coscienza umana in un processo costante di proiezione verso l’esterno, anziché come vita interiore. È un tentativo di allontanarsi dalla contrapposizione platonica tra una conoscenza innata dell’essere umano (“anamnesi”) e la resa della memoria a un oggetto tecnico (“ipomnesi”). La memoria epifilogenetica è al tempo stesso prodotto di un’esperienza individuale e supporto che consente alla conoscenza di accumularsi nell’arco delle generazioni. Ma per Stiegler questo rapporto fondamentale è ostacolato dall’industrializzazione e dalla separazione tra produttore e consumatore. L’avvento della macchina analogica come intermediario sostituisce il processo di codifica e decodifica della “grammaticalizzazione” – grazie alla quale “le correnti e le continuità che plasmano le nostre vite diventano elementi discreti” nel discorso, nella scrittura e nella lettura – con una ripetizione di gesti fisici. Per partecipare alla produzione di una merce il lavoratore non ha bisogno di sapere come è fatta o si usa, ma semplicemente quali sono i movimenti fisici necessari a manovrare la macchina. Allo stesso modo l’industrializzazione richiede un consumo di massa, e la produzione di consumatori richiede il continuo condizionamento del comportamento verso una novità consumabile, un processo reso possibile dai mass media. Nei momenti di produzione e in quelli di consumo si perde la possibilità dell’anamnesi, di una conoscenza innata; la conseguenza è un dominio del confinamento della memoria nell’oggetto tecnico. Per Stiegler questo cortocircuito nell’interlocuzione tra ipomnesi e anamnesi determina una rottura nei “contesti sociali dove si individuano le esistenze psichiche, e con loro nei gruppi dove le esistenze psichiche dialogano e si trasformano attraverso i dialoghi.”13 Se restiamo esclusi dal processo di codifica e decodifica della memoria, e “la società è divisa tra produttori e consumatori di simboli”, allora restiamo esclusi da un processo di memoria “trans-individuale”, dove l’“io” e il “noi” si trasformano a vicenda.14
Adrian Paci, Interregnum, 2017. Still da video. 17:29 min. Courtesy dell’artista; Galerie Peter Kilchmann, Zurigo; e kaufmann repetto, Milano/New York. Collezione Fondazione In Between Art Film
Attraverso Interregnum e la sua pratica artistica più in generale, Paci ambisce a riaprire uno spazio di memoria collettiva trasformativa che sia contrapposto alla forza coercitiva e alla “macchina riproduttrice dei gesti”. Il video, quindi, non è una semplice critica all’oppressione e al totalitarismo comunisti, ma è una finestra vitale per comprendere in modo più ampio la memoria nella società industriale, sia sotto l’ideologia socialista che capitalista, e all’interno della società digitale contemporanea. Il titolo del video di Paci e il suo riferimento all’“interregno” citato da Antonio Gramsci nei suoi quaderni dal carcere, scritti tra il 1929 e il 1935, qui assume un nuovo significato. Gramsci riteneva che la “crisi” innescata dalla Grande Depressione e dall’indebolimento del consenso nell’egemonia capitalista fosse un’opportunità di affermare l’ideologia anticapitalista e il socialismo internazionale dei lavoratori. Gramsci previde però che la debolezza e l’incertezza della classe lavoratrice internazionale in realtà avrebbe lasciato campo libero all’ascesa dei “sintomi morbosi” dell’estrema destra, del populismo, del nazionalismo fascista e del comunismo di ultrasinistra, fondato sulle direttive staliniste del “socialismo in un solo paese”. L’“interregno” è un momento di potenziale trasformazione, dove la politica della memoria rappresenta un campo di battaglia fondamentale tra le forze coercitive e l’identificazione intrecciata tra cittadino e sistema di governo. La produzione di Interregnum di Paci nel 2017 espone la posta in gioco nell’attuale interregno globale, dove l’ascesa dei nazionalismi populisti e la portata sempre più ampia del capitalismo cognitivo riaffermano la dislocazione e la manipolazione della memoria esternalizzata in linguaggio, simboli, oggetti tecnici e passati fittizi. Nella sua forma – quale montaggio di materiale mediatico abilitato dalla codifica e decodifica insite nella digitalizzazione – e nell’individuazione di un attaccamento non mediato nella messa in scena della memoria, Interregnum ambisce a ricostruire “i circuiti di trans-individuazione” necessari a una formazione comunitaria significativa.15
—Traduzione dall’inglese di Alessandra Castellazzi
Richard Birkett, Scrittore e curatore indipendente
Richard Birkett è un curatore e scrittore che vive a Glasgow, Regno Unito. È stato Capo Curatore presso l’Institute of Contemporary Arts di Londra, dal 2017 al 2020, e in precedenza Curatore presso l’Artists Space di New York. Ha anche organizzato mostre alla Yale Union di Portland, Oregon; mumok, Vienna; PS1 MoMA, New York; e la National Gallery of Kosovo, Pristina. Attraverso questi ruoli e progetti, ha lavorato con artisti, scrittori, registi e artisti tra cui Terry Atkinson, Julie Becker, Bernadette Corporation, Chto Delat?, Forensic Architecture, Emma Hedditch, Morag Keil e Georgie Nettell, Chris Kraus, Taylor Le Melle, Laura Poitras, Cameron Rowland, Hito Steyerl e The Wooster Group. Ha curato e scritto per pubblicazioni tra cui Cosey Complex (con Maria Fusco, 2012), Bernadette Corporation: 2000 Wasted Years (con BC, Jim Fletcher e Stefan Kalmár, 2013) e Tell It To My Heart – Collected by Julie Ault, Volume 2 (con Julie Ault e Martin Beck, 2015).
Adrian Paci, Artista
Adrian Paci (nato nel 1969 a Scutari, Albania) ha studiato pittura all’Accademia d’Arte di Tirana. Nel 1997 si è trasferito a Milano dove vive e lavora. Nel corso della sua carriera ha tenuto numerose mostre personali in diverse istituzioni internazionali come Kunsthalle, Krems (2020); Galleria Nazionale delle Arti, Tirana (2019); Museo Novecento, Firenze (2017); MAC, Musée d’Art Contemporain de Montréal (2014); Padiglione d’Arte Contemporanea – PAC, Milano (2014); Jeu de Paume, Parigi (2013); National Gallery of Kosovo, Pristina (2012); Kunsthaus Zurigo, Zurigo (2010); IThe Center for Contemporary Art – CCA, Tel Aviv (2009); Museum am Ostwall, Dortmund (2007); MoMA PS1, New York (2006); e Contemporary Arts Museum, Houston (2005). Il lavoro di Paci è stato anche presentato in molte mostre collettive, tra cui la 14. Mostra Internazionale di Architettura – La Biennale di Venezia (2014); la 48a e la 51a edizione dell’Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia (rispettivamente nel 1999 e nel 2005); la XV Biennale di Sydney (2006); la XV Quadriennale di Roma, dove ha vinto il primo premio (2008); la Biennale de Lyon (2009); e la 4a Thessaloniki Biennale of Contemporary Art (2013).
1 Antonio Gramsci, Quaderni dal carcere, volume primo, Einaudi, Torino 1975, p. 311
2 Bernard Stiegler, “Memory” in Critical Terms for Media Studies, a cura di W. J. T. Mitchell e Mark Hansen, Chicago University Press, Chicago 2010, pp. 77, 80
3 Bernard Stiegler, La technique e le temps, Edition Galilée, Parigi 1994
4 Bledar Kondi, “Even the Gods Die… The State Funeral and National Mourning for the Albanian Communist Dictator Enver Haxha”, in Traditiones 29, numero 2 (dicembre 2020), pp. 125-126
5 Conversazione tra Adrian Paci e l’autore, 2021
6 Weil, L’Iliade o il poema della forza, traduzione di Francesca Rubini, Asterios Editore, Trieste 2012, p. 48
7 Ibidem, p. 39
8 Bernard Stiegler, La società automatica. L’avvenire del lavoro, traduzione di Sara Baranzoni, Igor Pelgreffi, Paolo Vignola, Mimesis, Milano 2019
9 Kondi, “Even the Gods Die…” , p. 133
10 Bledar Kondi, Death and Ritual Crying: An anthropological approach to Albanian funeral customs, Logos Verlag, Berlino 2012, p. 126
11 Kondi, “Even the Gods Die…”, p. 126
12 Stiegler, La technique et le temps
13 Stiegler, “Memory”, p. 82
14 Stiegler elabora le teorie dell’individuazione di Gilbert Simondon, dove l’individuale è qualcosa che viene prodotto in un processo continuo, sia a livello della singola persona sia attraverso le formazioni di gruppi sociali. Si veda: Gilbert Simondon, L’individuazione alla luce delle nozioni di forma e informazione, Mimesis, Milano 2010.
15 Simondon, Individuazione