MENTRE CADONO LE BOMBE
Ferran Barenblit su Unending Lightning (2015-in corso) di Cristina Lucas
Attraverso l’analisi del lavoro di Cristina Lucas Unending Lightning (2015-in corso), Ferran Barenblit traccia la storia nefasta dei bombardamenti aerei sondando limiti e possibilità della loro rappresentazione visiva da parte degli artisti.

Cristina Lucas, Unending Lightning, 2015-in corso. Installazione video a 3 canali. Courtesy dell’artista. Collezione Fondazione In Between Art Film
[War]1
The aged in the villages
Ownerless heart.
Love with no object
Grass, dust and crow.
And youth?
In the coffin
Miguel Hernández, 19362
L’opera più rilevante dell’arte spagnola del XX secolo, e forse una delle opere più conosciute da chiunque in pressoché ogni parte del mondo, raffigura l’orrore e la morte causati da un bombardamento aereo.
Il 26 aprile 1937, la città di Gernika visse uno degli episodi più ignobili della guerra civile spagnola.3 La Legione Condor tedesca e l’Aviazione Legionaria italiana, in appoggio agli sforzi bellici dei ribelli pro-Franco, realizzarono una spietata operazione militare in cui schierarono una forza sproporzionata rispetto all’importanza militare dell’obiettivo. Trentuno bombardieri—tra cui lo Junkers Ju 52, emblema dell’industria aerea nazista—supportati da ventisei caccia, lanciarono una combinazione di bombe esplosive e incendiarie e mitragliarono la popolazione civile dal cielo per tre interminabili ore. Non fu il primo bombardamento aereo della guerra civile spagnola, tutt’altro: appena poche ore dopo l’insurrezione militare del luglio del ‘36, l’aviazione repubblicana improvvisò un attacco alle caserme dei ribelli pro-Franco in Nord Africa. La limitata preparazione degli aviatori fece sì che alcune delle bombe cadessero anche sulla vicina moschea e nell’area a essa limitrofa, provocando diverse vittime. Per quanto riguarda Gernika, molti degli interrogativi su quell’attacco rimarranno per sempre senza risposta, dalla motivazione che ne fu alla base a chi diede l’ordine effettivo, e finanche il numero di vittime, a oggi stimato come inferiore alle trecento. Con il tempo, questo bombardamento si trasformò in un mito crudele, emblema della spietatezza del fascismo e delle nefandezze proprie di ogni guerra.
Nel gennaio dello stesso anno, Pablo Picasso venne incaricato dal governo spagnolo di dipingere un quadro di grande formato per il padiglione spagnolo in occasione dell’Esposizione Universale di Parigi, che si sarebbe tenuta quella stessa estate. Progettato da Josep Lluís Sert e Luis Lacasa Navarro, riuniva anche opere di Joan Miró e Alberto Sánchez, per citare alcune delle molte (e sole) figure maschili presenti, e fu uno degli strumenti di propaganda più efficaci della Repubblica. Il rapporto tra Picasso, che viveva da anni in Francia, e la Repubblica era passato da un’iniziale indifferenza a uno di compromesso, frutto dell’insistenza di alcuni intellettuali vicini al governo, come Josep Renau, il quale era certo che il grande prestigio di cui Picasso già allora godeva potesse essere di aiuto all’estero. Nonostante il poco tempo a disposizione, quasi quattro mesi più tardi l’artista aveva a malapena realizzato alcuni schizzi. Ma le notizie in arrivo dai Paesi Baschi cambiarono ogni cosa e accelerarono la produzione dell’opera. Il 12 luglio, con un ritardo notevole rispetto alla data di inaugurazione dell’Esposizione Universale, il quadro, che misurava 7,75 x 3,5 m, fu presentato insieme al resto del Padiglione. I dettagli della commissione di Guernica e i fatti che successivamente lo riguardarono, tutti accuratamente annotati, fanno di essa una delle opere d’arte con tutta probabilità meglio documentate della storia.
Cos’è che rende Guernica una delle opere più rilevanti del XX secolo, simbolo dell’incommensurabile sofferenza generata da tutte le guerre? Al di là della sua efficacia e del suo posto nella storia, dobbiamo riconoscere che l’opera non presenta tratti di particolare spicco. Ciò che fa di essa una rarità è il fatto che sia pressoché l’unica opera “politica” di un artista più spesso alle prese con tematiche convenzionali quali paesaggi, nature morte, ritratti, corride e qualche astrazione. Si potrebbe pensare che a renderla celebre siano state le sue dimensioni, il suo forte codice visivo, una certa indeterminatezza che ne moltiplica le possibili letture, il suo essere portatrice dell’eredità della Repubblica, la sua movimentata storia successiva, il suo epico trasferimento in Spagna al culmine della transizione democratica del Paese. O, ancora, la sua mancanza di riferimenti: l’opera trasuda sofferenza, ma non è chiaro di quale natura essa sia. Rende il locale, globale; il particolare, universale. Quale che sia la risposta, il dipinto è lì, che raduna attorno a sé il pubblico devoto del Museo Reina Sofía, che si fa spazio con difficoltà pur di poter avere un saggio dell’opera.

Cristina Lucas, Unending Lightning (dettaglio), 2015-in corso. Still da video. Installazione video a 3 canali. Courtesy dell’artista. Collezione Fondazione In Between Art Film
Se non fosse che le nefandezze non hanno limiti e che la tecnologia militare ha creato modalità molteplici di infliggere sofferenza e provocare sterminio, si potrebbe pensare che il bombardamento aereo sia uno dei modi più crudeli di condurre una guerra. La distanza tra aggressore e aggredito—che impedisce qualsiasi forma di compassione o rimorso nell’aggressore—il carattere indiscriminato di molti bombardamenti, il loro abituale bersaglio, rappresentato da popolazioni civili disarmate e la facilità con cui possono essere eseguiti, fanno di essi una delle conseguenze più ripugnanti del progresso. Con la loro invenzione, la strategia militare mutò radicalmente: il soldato, che prima andava al fronte per difendere il proprio paese e i deboli, rimasti in retroguardia—i suoi familiari anziani, i figli, la madre, le sorelle—ora li vede morire mentre è intento a conquistare la terra nemica. Forse in origine l’obiettivo dell’incursione aerea era quello di scoraggiare il soldato: una volta morti quelli che avrebbe dovuto difendere, non sarebbe più valsa la pena di continuare a combattere. Tuttavia, lo svelamento di questa truce logica non pose in alcun modo fine a tale spargimento di sangue. L’attacco aereo è spesso imprevisto. Le vittime non hanno pressoché alcuna possibilità di fuga, potendo nella migliore delle ipotesi cercare riparo in un rifugio sotterraneo di dubbia efficacia. È impreciso, repentino, fulmineo e inesorabilmente letale. I danni collaterali sono considerevoli, anche quando, in uno sfoggio di vanità per il progresso, ormai dalla prima guerra del Golfo, gli eserciti si vantano di avere munizioni teoricamente precise. Inoltre, la distruzione che genera e gli effetti secondari che lascia dietro di sé (pensiamo all’Agente Arancio durante la Guerra del Vietnam) moltiplicano la sciagura e il dolore.
L’introduzione dell’aeroplano negli eserciti fu relativamente precoce. Già nel 1910, appena sei anni dopo il primo volo dei fratelli Wright, si effettuavano voli di ricognizione, affinché le informazioni così ottenute dessero alla fanteria o all’artiglieria un vantaggio sul nemico. Fu proprio durante uno di questi pattugliamenti aerei, qualche mese più tardi, durante la campagna di Libia, che l’esercito italiano lanciò il primo esplosivo sulle linee nemiche. Si trattò di un’azione spontanea che provocò danni di cui non esistono stime precise. L’autore, un tenente, fu redarguito dai suoi compagni, che lo accusarono di essere un codardo. Non che avessero torto: l’incursione aerea è il più vile degli attacchi. Il triste merito del primo attacco pianificato va a un’altra nazione europea del Mediterraneo, la Spagna: il 5 novembre 1913, aerei dell’aviazione lanciarono bombe da dieci chilogrammi su obiettivi militari nella regione nord Africana del Rif. L’ultimo, mentre scrivo queste righe, nel febbraio del 2021, è avvenuto appena qualche ora fa, in Siria, o almeno così apprendo dalla CNN. Nel mezzo, si sono susseguiti migliaia di attacchi che hanno provocato milioni di vittime civili. Se si dovesse pensare che la parola “milioni” utilizzata in questo contesto sia un’esagerazione, bisognerebbe considerare che durante la seconda guerra mondiale Berlino subì quasi quattrocento bombardamenti, durante i quali furono sganciate quasi settantamila tonnellate di esplosivo, e che in Giappone, in soli tre giorni, nell’agosto del 1945, morirono duecentomila persone. Così tanti attacchi e così tante vittime che nessuno aveva mai (!) pensato di raccogliere in modo sistematico informazioni su ciascuno di essi per poi presentarle in modo chiaro e intellegibile.

Cristina Lucas, Unending Lightning (dettaglio), 2015-in corso. Still da video. Installazione video a 3 canali. Courtesy dell’artista. Collezione Fondazione In Between Art Film
In Unending Lightning (2015-in corso), Cristina Lucas pone rimedio a questa mancanza. Si tratta di un’opera che viene proiettata, ma che non è di per sé un video, bensì un programma informatico che raccoglie le informazioni e le presenta su tre schermi. Non c’è una pellicola, ma una serie di dati e immagini che vengono elaborati in un modo specifico. Lo schermo centrale mostra una mappa del mondo sulla quale i nomi delle città bombardate, ciascuno nella sua effettiva ubicazione geografica, appaiono in successione per poi rimanervi al pari dei segni del bombardamento, che lasciano una cicatrice eterna. La dimensione di ciascun nome è proporzionale al numero di vittime prodotte dalla detonazione. Il movimento delle scritte ricorda la caduta dell’esplosivo. Lo schermo a sinistra visualizza ulteriori dati. In rapidissima successione, vengono fornite informazioni di base: nome del conflitto, forza aerea responsabile, città bombardata e numero di vittime civili. Le perdite militari non sono incluse. Lo schermo a destra mostra le fotografie reperite di quel particolare giorno, molte delle quali scattate da giornalisti che hanno rischiato la propria vita pur di riuscire a farle; a volte sono state scattate dagli stessi eserciti coinvolti nelle guerre e, più di recente, dalle vittime stesse che, grazie alla proliferazione delle fotocamere dei cellulari e alla rapida diffusione attraverso i social network, hanno iniziato a narrare in prima persona le proprie sofferenze. Non tutte le immagini mostrano le vittime. Alcune fanno vedere la tecnologia impiegata, l’aereo in volo, i preparativi per l’attacco. Sono immagini che si evolvono nel tempo, passando dal bianco e nero alle foto a colori, fino a tecnologie di imaging più sofisticate come l’infrarosso o le viste satellitari. La durata di Unending Lightning aumenta con il trascorrere del tempo. Non solo perché ogni giorno che passa ci sono, purtroppo, più attacchi aerei da includere, ma anche perché si tratta di uno studio di enorme portata per il quale l’artista non ha previsto una fine. Nuovi dati, altre immagini e ulteriori dettagli continuano a emergere.
L’opera non ha suono. Il suo silenzio ci permette di immaginare il fragore di ciascuna delle esplosioni che ad essa danno forma. In molte occasioni, l’artista affianca questo lavoro a un altro, Piper Prometheus (2013), un video che mostra un aeroplano intento a sorvolare un’area urbana trascinando uno striscione. Il rombo del motore è tutto ciò che si sente. Sullo striscione si legge L=(1/2)dv2sCL, ovvero l’equazione della portanza, che spiega perché gli aerei sono in grado di volare.
SE L’OPERA DI PICASSO FU IL RISULTATO DI QUALCOSA A CUI DI SOLITO SI DÀ IL NOME DI “GENIO”, DIPINTA NELLA SOLITUDINE DI UNA SOFFITTA PARIGINA, UNENDING LIGHTNING È IL RISULTATO DELL’IMPEGNO. NON SI TRATTA DI TRASFORMARE QUALCOSA DI PARTICOLARE IN QUALCOSA DI UNIVERSALE, QUANTO PIUTTOSTO DI RIUNIRE IL TUTTO.
Se l’opera di Picasso fu il risultato di qualcosa a cui di solito si dà il nome di “genio”, dipinta nella solitudine di una soffitta parigina, Unending Lightning è il risultato dell’impegno. Non si tratta di trasformare qualcosa di particolare in qualcosa di universale, quanto piuttosto di riunire il tutto. Ore e ore di lavoro di una squadra numerosa chiamata a scrivere la storia in un modo in cui non era mai stata scritta prima. Non solo continuano a raccogliere dati sparsi in una molteplicità di fonti: dai libri di storia agli archivi militari, passando per le testimonianze raccolte dalla stampa di tutto il mondo. I dati su cui si basa sono quelli dei bombardamenti aerei, ovvero di esplosivi lanciati da aerei più pesanti dell’aria con pilota e che hanno causato vittime tra i civili. La distruzione provocata dall’artiglieria o da proiettili a propulsione autonoma, come i missili, non è inclusa. Il risultato è una narrazione che risulterebbe totalmente distaccata se non fosse per le immagini che l’accompagnano, le quali smuovono le nostre coscienze e fanno dell’indifferenza riservata dagli eserciti alle loro vittime—un’indifferenza che ne rinnova continuamente tale condizione—la protagonista del racconto.
Come siamo abituati a fare dopo secoli di narrazione eurocentrica, in Guernica un conflitto europeo assume sembianze universali. Unending Lightning, invece, è universale sin dal suo concepimento, poiché raccoglie tutti i bombardamenti avvenuti in ogni angolo del pianeta. Un attacco a Kabul non è meno rilevante di uno a New York, al pari di come uno a Gaza non è meno rilevante di uno a Berlino. Se appare una qualche gradazione, questa ha solo a che vedere con il numero di vittime. L’opera, infatti, non solo non è eurocentrica, ma lascia persino spazio a una nuova lettura delle conseguenze della colonizzazione. Le linee che appaiono dopo aver raccordato i luoghi in cui è avvenuto ciascuno dei bombardamenti sembrano ritracciare con discreta fedeltà quelle che segnò il colonialismo moderno e che ancora oggi tanto condizionano il presente, rappresentando la causa di molti dei conflitti armati.

Cristina Lucas, La Liberté Raisonnée, 2009. Still da video. Video HD 4:3, 4’50’’. Courtesy dell’artista
In quest’opera riappaiono una serie di interrogativi che accompagnano l’intera ricerca di Cristina Lucas. Come la maggior parte delle sue opere, è il risultato di un atto performativo, che non solo dice ma fa. Quest’idea di azione attraversa quasi tutti gli aspetti che definiscono Unending Lightning. Appare fin dall’inizio, già nella fase di concepimento. Ciò che accomuna tutti i casi è un’azione, quella del bombardamento dal cielo, scelta con grande rigore. Nell’opera vengono inclusi solo quelli che hanno richiesto una manovra premeditata, di complessa preparazione ed esecuzione. Questa performatività si estende non solo alla centralità del corpo umano—ciò che viene contato è il numero di morti, ovvero il numero di corpi senza vita—ma anche al fatto che si tratta di un’opera che, sebbene lo spettatore non ne sia consapevole, si fa mentre la si osserva, poiché ogni volta che l’opera viene attivata un programma software reinterpreta i dati e li converte in segni visibili.
Un altro aspetto presente anche in altre opere dell’artista è una rilettura della storia volta a mettere in discussione sia lo status quo che le narrazioni egemoniche, generalmente scritte da potenti uomini bianchi europei che si sono impadroniti della storiografia e hanno condizionato il modus operandi di tutti i meccanismi del potere. In La Liberté Raisoneé (2009), fa rivivere la famosa tela di Eugène Delacroix che ci ricorda di quella scomoda virtù per la cui affermazione occorre lottare. Cristina Lucas si chiede: cosa accadrebbe se una donna seminuda issasse una bandiera nel mezzo di una battaglia? Qualcosa di terribile. Probabilmente verrebbe violentata, picchiata, uccisa. Questo è quello che accade nel video. Molto lentamente, i protagonisti del quadro, tutti uomini, catturano e aggrediscono la Libertà. L’Illuminismo, che dissipò le tenebre dichiarando il dominio della ragione, mise da parte le donne. Anzi, ancor peggio: le sottomise ancora di più, come lei stessa chiarisce in un’altra opera, Rousseau y Sophie (2007), che ricorda come il contributo di Jean-Jacques Rousseau alla pedagogia fosse destinato esclusivamente ai bambini maschi. Il libro a cui il lavoro allude ripercorre la crescita di Emilio nel corso della sua intera vita, mentre l’educazione di Sofia è solamente finalizzata a renderla sua moglie.4 In Touch and Go (2010) Lucas dà al subalterno la possibilità di scrivere la storia. Il video ha come protagonisti ex operai delle industrie del Merseyside, vittime della avidità neoliberale di Margaret Thatcher, ormai anziani elegantemente vestiti. Uno dopo l’altro, tornano a confrontarsi con le loro aziende rompendo i pochi vetri ancora integri degli edifici in cui un tempo lavoravano e da cui furono licenziati per delocalizzare la produzione in luoghi in cui la classe operaia era soggiogata al pari di come lo era nel XIX secolo nel Regno Unito.
La cartografia—quell’espressione nient’affatto impalpabile del potere, che traccia sul territorio delle linee nette e spesse volte arbitrarie—è presente anche in altre sue opere, molte delle quali sempre strutturate in modo cronologico. Si tratta quasi sempre di processi incompiuti, opere che non saranno mai completate perché, avendo anche un carattere performativo, rispondono sia al passato che al futuro dell’umanità. Pantone -500 +2007 (2007) è un esercizio cromatico che dà visibilità ai soli territori organizzati secondo la nozione occidentale di “stato”, dando di conseguenza vita a una divisione della società tra potenti e sottomessi. Un indicatore segna il progredire della storia: un secondo per ogni anno trascorso. Nelle immagini, i cambiamenti si manifestano soltanto mediante dei colori che appaiono e scompaiono, seguendo una logica basata sul codice introdotto negli ultimi decenni dall’azienda omonima del New Jersey. Non emerge, però, ciò che ogni cambiamento sottende: guerre, rivoluzioni e morti, molti morti. Questa indagine sulla cartografia è presente anche in Light Years (2009), un grande lightbox installato in una sala espositiva completamente buia. In questo caso, non è uno schermo a riflettere la luce emessa da un proiettore: è l’opera a emanare la luce che illumina la stanza. L’indicatore, questa volta, inizia dall’anno 1789 e, anche in questo caso, arriva fino ai nostri giorni. Uno per uno, segnala i paesi del mondo in cui è stato ottenuto il diritto di voto, applicando un codice diverso per ciascun caso: dal voto esclusivamente maschile e riservato a un solo gruppo sociale (generalmente, la popolazione bianca) al suffragio universale per l’intera popolazione adulta. Una conquista dell’umanità o un’imposizione universale del pensiero politico europeo? L’opera non risolve questa tensione, ma celebra la visibilità politica del cittadino e condanna all’oscurità quegli stati che hanno messo a tacere i propri cittadini per periodi troppo lunghi della storia contemporanea. In Mundo Masculino y Mundo Femenino (2010) rivela, ancora una volta in forma cartografica—servendosi in questo caso di due grandi sfere raffiguranti il mondo—il nome più popolare con cui sono indicati i genitali in tutti i paesi della terra. Ancora una volta, è il popolo a disegnare la mappa del mondo. In ogni paese esiste una parola gergale per indicare il pene e la vulva. Due parole che si dicono molto più frequentemente di quanto non si scrivano e che definiscono una geografia di ciò che è sconveniente o inappropriato.

Cristina Lucas, Mundo Masculino y Mundo Femenino, 2010. Courtesy dell’artista
Forse l’aspetto più rilevante di Unending Lightning è la serie di riflessioni che scatena sul significato del lavoro nell’arte e sulla nozione di efficienza. L’opera sfida la pazienza di qualsiasi spettatore. Chi scrive queste righe si era ingenuamente proposto di vederla nella sua interezza all’epoca della sua presentazione a Madrid, nel 2017, senza avere chiaro in mente di quanto tempo avrebbe avuto bisogno. Questo approccio si estende all’idea stessa di ricerca: cosa significa la ricerca nell’arte? Che tipo di conoscenza può generare? E come articolare questa informazione rigorosa per farla collimare con l’esperienza dello spettatore?
Sappiamo che l’arte è uno dei modi più efficaci per conoscere la storia. Una buona parte della società occidentale impara alla scuola superiore, proprio attraverso le immagini create dagli artisti, a conoscere la vittoria di Traiano, la morte di Marat o la rivolta del popolo parigino di fronte alle ingiustizie di Carlo X. Ma come fare a leggere qualcosa di così ampio come la storia del secolo scorso attraverso una singola opera d’arte? Unending Lightning indica una strada e, al tempo stesso, definisce un ruolo per l’artista. In questo caso non guardiamo attraverso una visione, bensì attraverso il rigore. Non ci aspettiamo una spiegazione, un’interpretazione o una voce, ma un resoconto basato su fatti accertati. Dagli anni ’90 in poi, abbiamo sperimentato quella che è stata chiamata la svolta forense, la maggiore rilevanza data allo studio delle tracce materiali quale modo per resistere a quel vecchio adagio che ci diceva non solo che la storia è scritta dai vincitori, ma che ogni forma di resistenza all’abuso di potere e alla distruzione avrebbe potuto unicamente portare a maggiori ingiustizie. Eyal Weizman, che applicò questa massima all’architettura, affermò che è possibile comprendere “la materialità e la struttura di un edificio come una superficie sulla quale gli eventi vengono impressi e il processo diventa forma”.5 Il collettivo di cui è alla guida, Forensic Architecture, negli oltre quindici anni di attività ha indagato molteplici conflitti, scegliendo alcuni capitoli specifici per sezionarli e identificare coloro che attaccano i deboli e violano i diritti umani. In questo modo, è emersa la possibilità di dare voce alle vittime e, cosa più importante, di far sì che i colpevoli siano giudicati ed eventualmente condannati sulla base delle prove fornite dagli artisti. Siamo a un importante punto di svolta: l’artista non racconta più solo la storia, ma è anche in grado di aggiungere degli elementi per poterla giudicare. Cristina Lucas si spinge ancora oltre. Partendo da un approccio “forense”, porta il dibattito dall’ostracismo alla luce, dall’oblio al foro—da intendersi nel suo significato etimologico. Amplifica questa logica e, per farlo, utilizza un meccanismo di inversione che ne moltiplica il significato. Se la strategia forense prevede il rallentamento del succedersi degli eventi e l’intensificazione della sensibilità allo spazio, al tempo e alle immagini, Cristina Lucas ottiene lo stesso risultato accelerando il tempo e sistematizzando lo studio di enormi serie di dati. In altre parole, se Weizman passa ore a studiare quello che è successo in un istante—quello in cui è esploso un proiettile, per esempio—Lucas impiega lo stesso tempo a studiare quello che è successo in un intero secolo—quello in cui sono esplosi milioni di proiettili. Non si tratta solo della necessità di giustizia, ma anche di generare nuove dinamiche di lutto collettivo, di riunire i vivi—e, quindi, chi deve ancora arrivare—con i morti, e della capacità delle nostre società di costruire il futuro a partire dal superamento dei conflitti e dal riconoscimento di tutto il dolore che hanno generato.
— Traduzione dallo spagnolo
di Valentina Moriconi
Ferran Barenblit, Direttore, MACBA – Museu d’Art Contemporani de Barcelona
Ferran Barenblit (1968, Buenos Aires) è un direttore di museo con una vasta esperienza curatoriale. Dal 2015 è Direttore del MACBA, dove è alla guida del piano strategico che ha portato l’istituzione a una nuova fase, ampliando i suoi spazi espositivi e creando ambiziose iniziative intellettuali, accademiche, artistiche e di espansione del pubblico.
La ricerca di Barenblit include il ripensare le istituzioni contemporanee attraverso l’idea di “museo costituente”; la storia dell’arte contemporanea, soprattutto quella degli anni ’90; il ruolo dell’ironia nella cultura; le strategie di programmazione museale; il rapporto tra arte e cultura popolare—inclusa la musica e il movimento punk. Ha un profondo interesse nel generare un dialogo significativo tra l’Europa e la sua nativa America Latina. Ha creato molti progetti che hanno viaggiato da Barcellona/Madrid a Città del Messico (MUAC – Museo Universitario Arte Contemporáneo) e Buenos Aires (Museo Nacional de Bellas Artes, Fundación Proa).
La sua precedente esperienza istituzionale include CA2M, Madrid (Direttore, 2008-2015); CASM, Barcellona (Direttore, 2002-2008); Fundació Joan Miró, Barcellona (Curatore, 1996-2001); e The New Museum, New York (Assistente curatoriale, 1994-1996).
Cristina Lucas, Artista
Cristina Lucas è un’artista che vive e lavora a Madrid. Il suo lavoro è stato incluso in mostre personali, come “Trading Transcendence” al MUDAM, Lussemburgo; “Tod Bringendes Licht” al Kunstraum di Innsbruck; “Light Years” al Centro de Arte 2 de Mayo, Móstoles; così come in mostre collettive, festival e biennali, come Yokohama Triennal, 12 Shanghai Biennale, Manifesta 12 a Palermo, Liverpool Biennial, X Bienal de La Habana, 28 Bienal de Sao Paolo, 10 Istanbul Biennal, tra molti altri.
1 “[Guerra] / La vecchiaia nei villaggi. / Il cuore senza padrone. / L’amore senza oggetto. / L’erba, la polvere, il corvo. / E la gioventù? / Nella bara” (TdR).
2 Edwin Honig (a cura e traduzione di), The Unending Lightning: Selected Poems of Miguel Hernández, Riverdale-on-Hudson, NY: Sheep Meadow Press, 1990, p. 15.
3 Gernika è il nome in lingua basca di Guernica.
4 Jean-Jacques Rousseau, Emilio o dell’educazione, 1762.
5 Eyal Weizman, Forensic Architecture: Violence at the Threshold of Detectability, Brooklyn, NY: Zone Books, 2017 (TdR).
MENTRE CADONO LE BOMBE
Ferran Barenblit su Unending Lightning (2015-in corso) di Cristina Lucas
Attraverso l’analisi del lavoro di Cristina Lucas Unending Lightning (2015-in corso), Ferran Barenblit traccia la storia nefasta dei bombardamenti aerei sondando limiti e possibilità della loro rappresentazione visiva da parte degli artisti.

Cristina Lucas, Unending Lightning, 2015-in corso. Installazione video a 3 canali. Courtesy dell’artista. Collezione Fondazione In Between Art Film
[War]1
The aged in the villages
Ownerless heart.
Love with no object
Grass, dust and crow.
And youth?
In the coffin
Miguel Hernández, 19362
L’opera più rilevante dell’arte spagnola del XX secolo, e forse una delle opere più conosciute da chiunque in pressoché ogni parte del mondo, raffigura l’orrore e la morte causati da un bombardamento aereo.
Il 26 aprile 1937, la città di Gernika visse uno degli episodi più ignobili della guerra civile spagnola.3 La Legione Condor tedesca e l’Aviazione Legionaria italiana, in appoggio agli sforzi bellici dei ribelli pro-Franco, realizzarono una spietata operazione militare in cui schierarono una forza sproporzionata rispetto all’importanza militare dell’obiettivo. Trentuno bombardieri—tra cui lo Junkers Ju 52, emblema dell’industria aerea nazista—supportati da ventisei caccia, lanciarono una combinazione di bombe esplosive e incendiarie e mitragliarono la popolazione civile dal cielo per tre interminabili ore. Non fu il primo bombardamento aereo della guerra civile spagnola, tutt’altro: appena poche ore dopo l’insurrezione militare del luglio del ‘36, l’aviazione repubblicana improvvisò un attacco alle caserme dei ribelli pro-Franco in Nord Africa. La limitata preparazione degli aviatori fece sì che alcune delle bombe cadessero anche sulla vicina moschea e nell’area a essa limitrofa, provocando diverse vittime. Per quanto riguarda Gernika, molti degli interrogativi su quell’attacco rimarranno per sempre senza risposta, dalla motivazione che ne fu alla base a chi diede l’ordine effettivo, e finanche il numero di vittime, a oggi stimato come inferiore alle trecento. Con il tempo, questo bombardamento si trasformò in un mito crudele, emblema della spietatezza del fascismo e delle nefandezze proprie di ogni guerra.
Nel gennaio dello stesso anno, Pablo Picasso venne incaricato dal governo spagnolo di dipingere un quadro di grande formato per il padiglione spagnolo in occasione dell’Esposizione Universale di Parigi, che si sarebbe tenuta quella stessa estate. Progettato da Josep Lluís Sert e Luis Lacasa Navarro, riuniva anche opere di Joan Miró e Alberto Sánchez, per citare alcune delle molte (e sole) figure maschili presenti, e fu uno degli strumenti di propaganda più efficaci della Repubblica. Il rapporto tra Picasso, che viveva da anni in Francia, e la Repubblica era passato da un’iniziale indifferenza a uno di compromesso, frutto dell’insistenza di alcuni intellettuali vicini al governo, come Josep Renau, il quale era certo che il grande prestigio di cui Picasso già allora godeva potesse essere di aiuto all’estero. Nonostante il poco tempo a disposizione, quasi quattro mesi più tardi l’artista aveva a malapena realizzato alcuni schizzi. Ma le notizie in arrivo dai Paesi Baschi cambiarono ogni cosa e accelerarono la produzione dell’opera. Il 12 luglio, con un ritardo notevole rispetto alla data di inaugurazione dell’Esposizione Universale, il quadro, che misurava 7,75 x 3,5 m, fu presentato insieme al resto del Padiglione. I dettagli della commissione di Guernica e i fatti che successivamente lo riguardarono, tutti accuratamente annotati, fanno di essa una delle opere d’arte con tutta probabilità meglio documentate della storia.
Cos’è che rende Guernica una delle opere più rilevanti del XX secolo, simbolo dell’incommensurabile sofferenza generata da tutte le guerre? Al di là della sua efficacia e del suo posto nella storia, dobbiamo riconoscere che l’opera non presenta tratti di particolare spicco. Ciò che fa di essa una rarità è il fatto che sia pressoché l’unica opera “politica” di un artista più spesso alle prese con tematiche convenzionali quali paesaggi, nature morte, ritratti, corride e qualche astrazione. Si potrebbe pensare che a renderla celebre siano state le sue dimensioni, il suo forte codice visivo, una certa indeterminatezza che ne moltiplica le possibili letture, il suo essere portatrice dell’eredità della Repubblica, la sua movimentata storia successiva, il suo epico trasferimento in Spagna al culmine della transizione democratica del Paese. O, ancora, la sua mancanza di riferimenti: l’opera trasuda sofferenza, ma non è chiaro di quale natura essa sia. Rende il locale, globale; il particolare, universale. Quale che sia la risposta, il dipinto è lì, che raduna attorno a sé il pubblico devoto del Museo Reina Sofía, che si fa spazio con difficoltà pur di poter avere un saggio dell’opera.

Cristina Lucas, Unending Lightning (dettaglio), 2015-in corso. Still da video. Installazione video a 3 canali. Courtesy dell’artista. Collezione Fondazione In Between Art Film
Se non fosse che le nefandezze non hanno limiti e che la tecnologia militare ha creato modalità molteplici di infliggere sofferenza e provocare sterminio, si potrebbe pensare che il bombardamento aereo sia uno dei modi più crudeli di condurre una guerra. La distanza tra aggressore e aggredito—che impedisce qualsiasi forma di compassione o rimorso nell’aggressore—il carattere indiscriminato di molti bombardamenti, il loro abituale bersaglio, rappresentato da popolazioni civili disarmate e la facilità con cui possono essere eseguiti, fanno di essi una delle conseguenze più ripugnanti del progresso. Con la loro invenzione, la strategia militare mutò radicalmente: il soldato, che prima andava al fronte per difendere il proprio paese e i deboli, rimasti in retroguardia—i suoi familiari anziani, i figli, la madre, le sorelle—ora li vede morire mentre è intento a conquistare la terra nemica. Forse in origine l’obiettivo dell’incursione aerea era quello di scoraggiare il soldato: una volta morti quelli che avrebbe dovuto difendere, non sarebbe più valsa la pena di continuare a combattere. Tuttavia, lo svelamento di questa truce logica non pose in alcun modo fine a tale spargimento di sangue. L’attacco aereo è spesso imprevisto. Le vittime non hanno pressoché alcuna possibilità di fuga, potendo nella migliore delle ipotesi cercare riparo in un rifugio sotterraneo di dubbia efficacia. È impreciso, repentino, fulmineo e inesorabilmente letale. I danni collaterali sono considerevoli, anche quando, in uno sfoggio di vanità per il progresso, ormai dalla prima guerra del Golfo, gli eserciti si vantano di avere munizioni teoricamente precise. Inoltre, la distruzione che genera e gli effetti secondari che lascia dietro di sé (pensiamo all’Agente Arancio durante la Guerra del Vietnam) moltiplicano la sciagura e il dolore.
L’introduzione dell’aeroplano negli eserciti fu relativamente precoce. Già nel 1910, appena sei anni dopo il primo volo dei fratelli Wright, si effettuavano voli di ricognizione, affinché le informazioni così ottenute dessero alla fanteria o all’artiglieria un vantaggio sul nemico. Fu proprio durante uno di questi pattugliamenti aerei, qualche mese più tardi, durante la campagna di Libia, che l’esercito italiano lanciò il primo esplosivo sulle linee nemiche. Si trattò di un’azione spontanea che provocò danni di cui non esistono stime precise. L’autore, un tenente, fu redarguito dai suoi compagni, che lo accusarono di essere un codardo. Non che avessero torto: l’incursione aerea è il più vile degli attacchi. Il triste merito del primo attacco pianificato va a un’altra nazione europea del Mediterraneo, la Spagna: il 5 novembre 1913, aerei dell’aviazione lanciarono bombe da dieci chilogrammi su obiettivi militari nella regione nord Africana del Rif. L’ultimo, mentre scrivo queste righe, nel febbraio del 2021, è avvenuto appena qualche ora fa, in Siria, o almeno così apprendo dalla CNN. Nel mezzo, si sono susseguiti migliaia di attacchi che hanno provocato milioni di vittime civili. Se si dovesse pensare che la parola “milioni” utilizzata in questo contesto sia un’esagerazione, bisognerebbe considerare che durante la seconda guerra mondiale Berlino subì quasi quattrocento bombardamenti, durante i quali furono sganciate quasi settantamila tonnellate di esplosivo, e che in Giappone, in soli tre giorni, nell’agosto del 1945, morirono duecentomila persone. Così tanti attacchi e così tante vittime che nessuno aveva mai (!) pensato di raccogliere in modo sistematico informazioni su ciascuno di essi per poi presentarle in modo chiaro e intellegibile.

Cristina Lucas, Unending Lightning (dettaglio), 2015-in corso. Still da video. Installazione video a 3 canali. Courtesy dell’artista. Collezione Fondazione In Between Art Film
In Unending Lightning (2015-in corso), Cristina Lucas pone rimedio a questa mancanza. Si tratta di un’opera che viene proiettata, ma che non è di per sé un video, bensì un programma informatico che raccoglie le informazioni e le presenta su tre schermi. Non c’è una pellicola, ma una serie di dati e immagini che vengono elaborati in un modo specifico. Lo schermo centrale mostra una mappa del mondo sulla quale i nomi delle città bombardate, ciascuno nella sua effettiva ubicazione geografica, appaiono in successione per poi rimanervi al pari dei segni del bombardamento, che lasciano una cicatrice eterna. La dimensione di ciascun nome è proporzionale al numero di vittime prodotte dalla detonazione. Il movimento delle scritte ricorda la caduta dell’esplosivo. Lo schermo a sinistra visualizza ulteriori dati. In rapidissima successione, vengono fornite informazioni di base: nome del conflitto, forza aerea responsabile, città bombardata e numero di vittime civili. Le perdite militari non sono incluse. Lo schermo a destra mostra le fotografie reperite di quel particolare giorno, molte delle quali scattate da giornalisti che hanno rischiato la propria vita pur di riuscire a farle; a volte sono state scattate dagli stessi eserciti coinvolti nelle guerre e, più di recente, dalle vittime stesse che, grazie alla proliferazione delle fotocamere dei cellulari e alla rapida diffusione attraverso i social network, hanno iniziato a narrare in prima persona le proprie sofferenze. Non tutte le immagini mostrano le vittime. Alcune fanno vedere la tecnologia impiegata, l’aereo in volo, i preparativi per l’attacco. Sono immagini che si evolvono nel tempo, passando dal bianco e nero alle foto a colori, fino a tecnologie di imaging più sofisticate come l’infrarosso o le viste satellitari. La durata di Unending Lightning aumenta con il trascorrere del tempo. Non solo perché ogni giorno che passa ci sono, purtroppo, più attacchi aerei da includere, ma anche perché si tratta di uno studio di enorme portata per il quale l’artista non ha previsto una fine. Nuovi dati, altre immagini e ulteriori dettagli continuano a emergere.
L’opera non ha suono. Il suo silenzio ci permette di immaginare il fragore di ciascuna delle esplosioni che ad essa danno forma. In molte occasioni, l’artista affianca questo lavoro a un altro, Piper Prometheus (2013), un video che mostra un aeroplano intento a sorvolare un’area urbana trascinando uno striscione. Il rombo del motore è tutto ciò che si sente. Sullo striscione si legge L=(1/2)dv2sCL, ovvero l’equazione della portanza, che spiega perché gli aerei sono in grado di volare.
SE L’OPERA DI PICASSO FU IL RISULTATO DI QUALCOSA A CUI DI SOLITO SI DÀ IL NOME DI “GENIO”, DIPINTA NELLA SOLITUDINE DI UNA SOFFITTA PARIGINA, UNENDING LIGHTNING È IL RISULTATO DELL’IMPEGNO. NON SI TRATTA DI TRASFORMARE QUALCOSA DI PARTICOLARE IN QUALCOSA DI UNIVERSALE, QUANTO PIUTTOSTO DI RIUNIRE IL TUTTO.
Se l’opera di Picasso fu il risultato di qualcosa a cui di solito si dà il nome di “genio”, dipinta nella solitudine di una soffitta parigina, Unending Lightning è il risultato dell’impegno. Non si tratta di trasformare qualcosa di particolare in qualcosa di universale, quanto piuttosto di riunire il tutto. Ore e ore di lavoro di una squadra numerosa chiamata a scrivere la storia in un modo in cui non era mai stata scritta prima. Non solo continuano a raccogliere dati sparsi in una molteplicità di fonti: dai libri di storia agli archivi militari, passando per le testimonianze raccolte dalla stampa di tutto il mondo. I dati su cui si basa sono quelli dei bombardamenti aerei, ovvero di esplosivi lanciati da aerei più pesanti dell’aria con pilota e che hanno causato vittime tra i civili. La distruzione provocata dall’artiglieria o da proiettili a propulsione autonoma, come i missili, non è inclusa. Il risultato è una narrazione che risulterebbe totalmente distaccata se non fosse per le immagini che l’accompagnano, le quali smuovono le nostre coscienze e fanno dell’indifferenza riservata dagli eserciti alle loro vittime—un’indifferenza che ne rinnova continuamente tale condizione—la protagonista del racconto.
Come siamo abituati a fare dopo secoli di narrazione eurocentrica, in Guernica un conflitto europeo assume sembianze universali. Unending Lightning, invece, è universale sin dal suo concepimento, poiché raccoglie tutti i bombardamenti avvenuti in ogni angolo del pianeta. Un attacco a Kabul non è meno rilevante di uno a New York, al pari di come uno a Gaza non è meno rilevante di uno a Berlino. Se appare una qualche gradazione, questa ha solo a che vedere con il numero di vittime. L’opera, infatti, non solo non è eurocentrica, ma lascia persino spazio a una nuova lettura delle conseguenze della colonizzazione. Le linee che appaiono dopo aver raccordato i luoghi in cui è avvenuto ciascuno dei bombardamenti sembrano ritracciare con discreta fedeltà quelle che segnò il colonialismo moderno e che ancora oggi tanto condizionano il presente, rappresentando la causa di molti dei conflitti armati.

Cristina Lucas, La Liberté Raisonnée, 2009. Still da video. Video HD 4:3, 4’50’’. Courtesy dell’artista
In quest’opera riappaiono una serie di interrogativi che accompagnano l’intera ricerca di Cristina Lucas. Come la maggior parte delle sue opere, è il risultato di un atto performativo, che non solo dice ma fa. Quest’idea di azione attraversa quasi tutti gli aspetti che definiscono Unending Lightning. Appare fin dall’inizio, già nella fase di concepimento. Ciò che accomuna tutti i casi è un’azione, quella del bombardamento dal cielo, scelta con grande rigore. Nell’opera vengono inclusi solo quelli che hanno richiesto una manovra premeditata, di complessa preparazione ed esecuzione. Questa performatività si estende non solo alla centralità del corpo umano—ciò che viene contato è il numero di morti, ovvero il numero di corpi senza vita—ma anche al fatto che si tratta di un’opera che, sebbene lo spettatore non ne sia consapevole, si fa mentre la si osserva, poiché ogni volta che l’opera viene attivata un programma software reinterpreta i dati e li converte in segni visibili.
Un altro aspetto presente anche in altre opere dell’artista è una rilettura della storia volta a mettere in discussione sia lo status quo che le narrazioni egemoniche, generalmente scritte da potenti uomini bianchi europei che si sono impadroniti della storiografia e hanno condizionato il modus operandi di tutti i meccanismi del potere. In La Liberté Raisoneé (2009), fa rivivere la famosa tela di Eugène Delacroix che ci ricorda di quella scomoda virtù per la cui affermazione occorre lottare. Cristina Lucas si chiede: cosa accadrebbe se una donna seminuda issasse una bandiera nel mezzo di una battaglia? Qualcosa di terribile. Probabilmente verrebbe violentata, picchiata, uccisa. Questo è quello che accade nel video. Molto lentamente, i protagonisti del quadro, tutti uomini, catturano e aggrediscono la Libertà. L’Illuminismo, che dissipò le tenebre dichiarando il dominio della ragione, mise da parte le donne. Anzi, ancor peggio: le sottomise ancora di più, come lei stessa chiarisce in un’altra opera, Rousseau y Sophie (2007), che ricorda come il contributo di Jean-Jacques Rousseau alla pedagogia fosse destinato esclusivamente ai bambini maschi. Il libro a cui il lavoro allude ripercorre la crescita di Emilio nel corso della sua intera vita, mentre l’educazione di Sofia è solamente finalizzata a renderla sua moglie.4 In Touch and Go (2010) Lucas dà al subalterno la possibilità di scrivere la storia. Il video ha come protagonisti ex operai delle industrie del Merseyside, vittime della avidità neoliberale di Margaret Thatcher, ormai anziani elegantemente vestiti. Uno dopo l’altro, tornano a confrontarsi con le loro aziende rompendo i pochi vetri ancora integri degli edifici in cui un tempo lavoravano e da cui furono licenziati per delocalizzare la produzione in luoghi in cui la classe operaia era soggiogata al pari di come lo era nel XIX secolo nel Regno Unito.
La cartografia—quell’espressione nient’affatto impalpabile del potere, che traccia sul territorio delle linee nette e spesse volte arbitrarie—è presente anche in altre sue opere, molte delle quali sempre strutturate in modo cronologico. Si tratta quasi sempre di processi incompiuti, opere che non saranno mai completate perché, avendo anche un carattere performativo, rispondono sia al passato che al futuro dell’umanità. Pantone -500 +2007 (2007) è un esercizio cromatico che dà visibilità ai soli territori organizzati secondo la nozione occidentale di “stato”, dando di conseguenza vita a una divisione della società tra potenti e sottomessi. Un indicatore segna il progredire della storia: un secondo per ogni anno trascorso. Nelle immagini, i cambiamenti si manifestano soltanto mediante dei colori che appaiono e scompaiono, seguendo una logica basata sul codice introdotto negli ultimi decenni dall’azienda omonima del New Jersey. Non emerge, però, ciò che ogni cambiamento sottende: guerre, rivoluzioni e morti, molti morti. Questa indagine sulla cartografia è presente anche in Light Years (2009), un grande lightbox installato in una sala espositiva completamente buia. In questo caso, non è uno schermo a riflettere la luce emessa da un proiettore: è l’opera a emanare la luce che illumina la stanza. L’indicatore, questa volta, inizia dall’anno 1789 e, anche in questo caso, arriva fino ai nostri giorni. Uno per uno, segnala i paesi del mondo in cui è stato ottenuto il diritto di voto, applicando un codice diverso per ciascun caso: dal voto esclusivamente maschile e riservato a un solo gruppo sociale (generalmente, la popolazione bianca) al suffragio universale per l’intera popolazione adulta. Una conquista dell’umanità o un’imposizione universale del pensiero politico europeo? L’opera non risolve questa tensione, ma celebra la visibilità politica del cittadino e condanna all’oscurità quegli stati che hanno messo a tacere i propri cittadini per periodi troppo lunghi della storia contemporanea. In Mundo Masculino y Mundo Femenino (2010) rivela, ancora una volta in forma cartografica—servendosi in questo caso di due grandi sfere raffiguranti il mondo—il nome più popolare con cui sono indicati i genitali in tutti i paesi della terra. Ancora una volta, è il popolo a disegnare la mappa del mondo. In ogni paese esiste una parola gergale per indicare il pene e la vulva. Due parole che si dicono molto più frequentemente di quanto non si scrivano e che definiscono una geografia di ciò che è sconveniente o inappropriato.

Cristina Lucas, Mundo Masculino y Mundo Femenino, 2010. Courtesy dell’artista
Forse l’aspetto più rilevante di Unending Lightning è la serie di riflessioni che scatena sul significato del lavoro nell’arte e sulla nozione di efficienza. L’opera sfida la pazienza di qualsiasi spettatore. Chi scrive queste righe si era ingenuamente proposto di vederla nella sua interezza all’epoca della sua presentazione a Madrid, nel 2017, senza avere chiaro in mente di quanto tempo avrebbe avuto bisogno. Questo approccio si estende all’idea stessa di ricerca: cosa significa la ricerca nell’arte? Che tipo di conoscenza può generare? E come articolare questa informazione rigorosa per farla collimare con l’esperienza dello spettatore?
Sappiamo che l’arte è uno dei modi più efficaci per conoscere la storia. Una buona parte della società occidentale impara alla scuola superiore, proprio attraverso le immagini create dagli artisti, a conoscere la vittoria di Traiano, la morte di Marat o la rivolta del popolo parigino di fronte alle ingiustizie di Carlo X. Ma come fare a leggere qualcosa di così ampio come la storia del secolo scorso attraverso una singola opera d’arte? Unending Lightning indica una strada e, al tempo stesso, definisce un ruolo per l’artista. In questo caso non guardiamo attraverso una visione, bensì attraverso il rigore. Non ci aspettiamo una spiegazione, un’interpretazione o una voce, ma un resoconto basato su fatti accertati. Dagli anni ’90 in poi, abbiamo sperimentato quella che è stata chiamata la svolta forense, la maggiore rilevanza data allo studio delle tracce materiali quale modo per resistere a quel vecchio adagio che ci diceva non solo che la storia è scritta dai vincitori, ma che ogni forma di resistenza all’abuso di potere e alla distruzione avrebbe potuto unicamente portare a maggiori ingiustizie. Eyal Weizman, che applicò questa massima all’architettura, affermò che è possibile comprendere “la materialità e la struttura di un edificio come una superficie sulla quale gli eventi vengono impressi e il processo diventa forma”.5 Il collettivo di cui è alla guida, Forensic Architecture, negli oltre quindici anni di attività ha indagato molteplici conflitti, scegliendo alcuni capitoli specifici per sezionarli e identificare coloro che attaccano i deboli e violano i diritti umani. In questo modo, è emersa la possibilità di dare voce alle vittime e, cosa più importante, di far sì che i colpevoli siano giudicati ed eventualmente condannati sulla base delle prove fornite dagli artisti. Siamo a un importante punto di svolta: l’artista non racconta più solo la storia, ma è anche in grado di aggiungere degli elementi per poterla giudicare. Cristina Lucas si spinge ancora oltre. Partendo da un approccio “forense”, porta il dibattito dall’ostracismo alla luce, dall’oblio al foro—da intendersi nel suo significato etimologico. Amplifica questa logica e, per farlo, utilizza un meccanismo di inversione che ne moltiplica il significato. Se la strategia forense prevede il rallentamento del succedersi degli eventi e l’intensificazione della sensibilità allo spazio, al tempo e alle immagini, Cristina Lucas ottiene lo stesso risultato accelerando il tempo e sistematizzando lo studio di enormi serie di dati. In altre parole, se Weizman passa ore a studiare quello che è successo in un istante—quello in cui è esploso un proiettile, per esempio—Lucas impiega lo stesso tempo a studiare quello che è successo in un intero secolo—quello in cui sono esplosi milioni di proiettili. Non si tratta solo della necessità di giustizia, ma anche di generare nuove dinamiche di lutto collettivo, di riunire i vivi—e, quindi, chi deve ancora arrivare—con i morti, e della capacità delle nostre società di costruire il futuro a partire dal superamento dei conflitti e dal riconoscimento di tutto il dolore che hanno generato.
— Traduzione dallo spagnolo
di Valentina Moriconi
Ferran Barenblit, Direttore, MACBA – Museu d’Art Contemporani de Barcelona
Ferran Barenblit (1968, Buenos Aires) è un direttore di museo con una vasta esperienza curatoriale. Dal 2015 è Direttore del MACBA, dove è alla guida del piano strategico che ha portato l’istituzione a una nuova fase, ampliando i suoi spazi espositivi e creando ambiziose iniziative intellettuali, accademiche, artistiche e di espansione del pubblico.
La ricerca di Barenblit include il ripensare le istituzioni contemporanee attraverso l’idea di “museo costituente”; la storia dell’arte contemporanea, soprattutto quella degli anni ’90; il ruolo dell’ironia nella cultura; le strategie di programmazione museale; il rapporto tra arte e cultura popolare—inclusa la musica e il movimento punk. Ha un profondo interesse nel generare un dialogo significativo tra l’Europa e la sua nativa America Latina. Ha creato molti progetti che hanno viaggiato da Barcellona/Madrid a Città del Messico (MUAC – Museo Universitario Arte Contemporáneo) e Buenos Aires (Museo Nacional de Bellas Artes, Fundación Proa).
La sua precedente esperienza istituzionale include CA2M, Madrid (Direttore, 2008-2015); CASM, Barcellona (Direttore, 2002-2008); Fundació Joan Miró, Barcellona (Curatore, 1996-2001); e The New Museum, New York (Assistente curatoriale, 1994-1996).
Cristina Lucas, Artista
Cristina Lucas è un’artista che vive e lavora a Madrid. Il suo lavoro è stato incluso in mostre personali, come “Trading Transcendence” al MUDAM, Lussemburgo; “Tod Bringendes Licht” al Kunstraum di Innsbruck; “Light Years” al Centro de Arte 2 de Mayo, Móstoles; così come in mostre collettive, festival e biennali, come Yokohama Triennal, 12 Shanghai Biennale, Manifesta 12 a Palermo, Liverpool Biennial, X Bienal de La Habana, 28 Bienal de Sao Paolo, 10 Istanbul Biennal, tra molti altri.
1 “[Guerra] / La vecchiaia nei villaggi. / Il cuore senza padrone. / L’amore senza oggetto. / L’erba, la polvere, il corvo. / E la gioventù? / Nella bara” (TdR).
2 Edwin Honig (a cura e traduzione di), The Unending Lightning: Selected Poems of Miguel Hernández, Riverdale-on-Hudson, NY: Sheep Meadow Press, 1990, p. 15.
3 Gernika è il nome in lingua basca di Guernica.
4 Jean-Jacques Rousseau, Emilio o dell’educazione, 1762.
5 Eyal Weizman, Forensic Architecture: Violence at the Threshold of Detectability, Brooklyn, NY: Zone Books, 2017 (TdR).
MENTRE CADONO LE BOMBE
Ferran Barenblit su Unending Lightning (2015-in corso) di Cristina Lucas
Attraverso l’analisi del lavoro di Cristina Lucas Unending Lightning (2015-in corso), Ferran Barenblit traccia la storia nefasta dei bombardamenti aerei sondando limiti e possibilità della loro rappresentazione visiva da parte degli artisti.

Cristina Lucas, Unending Lightning, 2015-in corso. Installazione video a 3 canali. Courtesy dell’artista. Collezione Fondazione In Between Art Film
[War]1
The aged in the villages
Ownerless heart.
Love with no object
Grass, dust and crow.
And youth?
In the coffin
Miguel Hernández, 19362
L’opera più rilevante dell’arte spagnola del XX secolo, e forse una delle opere più conosciute da chiunque in pressoché ogni parte del mondo, raffigura l’orrore e la morte causati da un bombardamento aereo.
Il 26 aprile 1937, la città di Gernika visse uno degli episodi più ignobili della guerra civile spagnola.3 La Legione Condor tedesca e l’Aviazione Legionaria italiana, in appoggio agli sforzi bellici dei ribelli pro-Franco, realizzarono una spietata operazione militare in cui schierarono una forza sproporzionata rispetto all’importanza militare dell’obiettivo. Trentuno bombardieri—tra cui lo Junkers Ju 52, emblema dell’industria aerea nazista—supportati da ventisei caccia, lanciarono una combinazione di bombe esplosive e incendiarie e mitragliarono la popolazione civile dal cielo per tre interminabili ore. Non fu il primo bombardamento aereo della guerra civile spagnola, tutt’altro: appena poche ore dopo l’insurrezione militare del luglio del ‘36, l’aviazione repubblicana improvvisò un attacco alle caserme dei ribelli pro-Franco in Nord Africa. La limitata preparazione degli aviatori fece sì che alcune delle bombe cadessero anche sulla vicina moschea e nell’area a essa limitrofa, provocando diverse vittime. Per quanto riguarda Gernika, molti degli interrogativi su quell’attacco rimarranno per sempre senza risposta, dalla motivazione che ne fu alla base a chi diede l’ordine effettivo, e finanche il numero di vittime, a oggi stimato come inferiore alle trecento. Con il tempo, questo bombardamento si trasformò in un mito crudele, emblema della spietatezza del fascismo e delle nefandezze proprie di ogni guerra.
Nel gennaio dello stesso anno, Pablo Picasso venne incaricato dal governo spagnolo di dipingere un quadro di grande formato per il padiglione spagnolo in occasione dell’Esposizione Universale di Parigi, che si sarebbe tenuta quella stessa estate. Progettato da Josep Lluís Sert e Luis Lacasa Navarro, riuniva anche opere di Joan Miró e Alberto Sánchez, per citare alcune delle molte (e sole) figure maschili presenti, e fu uno degli strumenti di propaganda più efficaci della Repubblica. Il rapporto tra Picasso, che viveva da anni in Francia, e la Repubblica era passato da un’iniziale indifferenza a uno di compromesso, frutto dell’insistenza di alcuni intellettuali vicini al governo, come Josep Renau, il quale era certo che il grande prestigio di cui Picasso già allora godeva potesse essere di aiuto all’estero. Nonostante il poco tempo a disposizione, quasi quattro mesi più tardi l’artista aveva a malapena realizzato alcuni schizzi. Ma le notizie in arrivo dai Paesi Baschi cambiarono ogni cosa e accelerarono la produzione dell’opera. Il 12 luglio, con un ritardo notevole rispetto alla data di inaugurazione dell’Esposizione Universale, il quadro, che misurava 7,75 x 3,5 m, fu presentato insieme al resto del Padiglione. I dettagli della commissione di Guernica e i fatti che successivamente lo riguardarono, tutti accuratamente annotati, fanno di essa una delle opere d’arte con tutta probabilità meglio documentate della storia.
Cos’è che rende Guernica una delle opere più rilevanti del XX secolo, simbolo dell’incommensurabile sofferenza generata da tutte le guerre? Al di là della sua efficacia e del suo posto nella storia, dobbiamo riconoscere che l’opera non presenta tratti di particolare spicco. Ciò che fa di essa una rarità è il fatto che sia pressoché l’unica opera “politica” di un artista più spesso alle prese con tematiche convenzionali quali paesaggi, nature morte, ritratti, corride e qualche astrazione. Si potrebbe pensare che a renderla celebre siano state le sue dimensioni, il suo forte codice visivo, una certa indeterminatezza che ne moltiplica le possibili letture, il suo essere portatrice dell’eredità della Repubblica, la sua movimentata storia successiva, il suo epico trasferimento in Spagna al culmine della transizione democratica del Paese. O, ancora, la sua mancanza di riferimenti: l’opera trasuda sofferenza, ma non è chiaro di quale natura essa sia. Rende il locale, globale; il particolare, universale. Quale che sia la risposta, il dipinto è lì, che raduna attorno a sé il pubblico devoto del Museo Reina Sofía, che si fa spazio con difficoltà pur di poter avere un saggio dell’opera.

Cristina Lucas, Unending Lightning (dettaglio), 2015-in corso. Still da video. Installazione video a 3 canali. Courtesy dell’artista. Collezione Fondazione In Between Art Film
Se non fosse che le nefandezze non hanno limiti e che la tecnologia militare ha creato modalità molteplici di infliggere sofferenza e provocare sterminio, si potrebbe pensare che il bombardamento aereo sia uno dei modi più crudeli di condurre una guerra. La distanza tra aggressore e aggredito—che impedisce qualsiasi forma di compassione o rimorso nell’aggressore—il carattere indiscriminato di molti bombardamenti, il loro abituale bersaglio, rappresentato da popolazioni civili disarmate e la facilità con cui possono essere eseguiti, fanno di essi una delle conseguenze più ripugnanti del progresso. Con la loro invenzione, la strategia militare mutò radicalmente: il soldato, che prima andava al fronte per difendere il proprio paese e i deboli, rimasti in retroguardia—i suoi familiari anziani, i figli, la madre, le sorelle—ora li vede morire mentre è intento a conquistare la terra nemica. Forse in origine l’obiettivo dell’incursione aerea era quello di scoraggiare il soldato: una volta morti quelli che avrebbe dovuto difendere, non sarebbe più valsa la pena di continuare a combattere. Tuttavia, lo svelamento di questa truce logica non pose in alcun modo fine a tale spargimento di sangue. L’attacco aereo è spesso imprevisto. Le vittime non hanno pressoché alcuna possibilità di fuga, potendo nella migliore delle ipotesi cercare riparo in un rifugio sotterraneo di dubbia efficacia. È impreciso, repentino, fulmineo e inesorabilmente letale. I danni collaterali sono considerevoli, anche quando, in uno sfoggio di vanità per il progresso, ormai dalla prima guerra del Golfo, gli eserciti si vantano di avere munizioni teoricamente precise. Inoltre, la distruzione che genera e gli effetti secondari che lascia dietro di sé (pensiamo all’Agente Arancio durante la Guerra del Vietnam) moltiplicano la sciagura e il dolore.
L’introduzione dell’aeroplano negli eserciti fu relativamente precoce. Già nel 1910, appena sei anni dopo il primo volo dei fratelli Wright, si effettuavano voli di ricognizione, affinché le informazioni così ottenute dessero alla fanteria o all’artiglieria un vantaggio sul nemico. Fu proprio durante uno di questi pattugliamenti aerei, qualche mese più tardi, durante la campagna di Libia, che l’esercito italiano lanciò il primo esplosivo sulle linee nemiche. Si trattò di un’azione spontanea che provocò danni di cui non esistono stime precise. L’autore, un tenente, fu redarguito dai suoi compagni, che lo accusarono di essere un codardo. Non che avessero torto: l’incursione aerea è il più vile degli attacchi. Il triste merito del primo attacco pianificato va a un’altra nazione europea del Mediterraneo, la Spagna: il 5 novembre 1913, aerei dell’aviazione lanciarono bombe da dieci chilogrammi su obiettivi militari nella regione nord Africana del Rif. L’ultimo, mentre scrivo queste righe, nel febbraio del 2021, è avvenuto appena qualche ora fa, in Siria, o almeno così apprendo dalla CNN. Nel mezzo, si sono susseguiti migliaia di attacchi che hanno provocato milioni di vittime civili. Se si dovesse pensare che la parola “milioni” utilizzata in questo contesto sia un’esagerazione, bisognerebbe considerare che durante la seconda guerra mondiale Berlino subì quasi quattrocento bombardamenti, durante i quali furono sganciate quasi settantamila tonnellate di esplosivo, e che in Giappone, in soli tre giorni, nell’agosto del 1945, morirono duecentomila persone. Così tanti attacchi e così tante vittime che nessuno aveva mai (!) pensato di raccogliere in modo sistematico informazioni su ciascuno di essi per poi presentarle in modo chiaro e intellegibile.

Cristina Lucas, Unending Lightning (dettaglio), 2015-in corso. Still da video. Installazione video a 3 canali. Courtesy dell’artista. Collezione Fondazione In Between Art Film
In Unending Lightning (2015-in corso), Cristina Lucas pone rimedio a questa mancanza. Si tratta di un’opera che viene proiettata, ma che non è di per sé un video, bensì un programma informatico che raccoglie le informazioni e le presenta su tre schermi. Non c’è una pellicola, ma una serie di dati e immagini che vengono elaborati in un modo specifico. Lo schermo centrale mostra una mappa del mondo sulla quale i nomi delle città bombardate, ciascuno nella sua effettiva ubicazione geografica, appaiono in successione per poi rimanervi al pari dei segni del bombardamento, che lasciano una cicatrice eterna. La dimensione di ciascun nome è proporzionale al numero di vittime prodotte dalla detonazione. Il movimento delle scritte ricorda la caduta dell’esplosivo. Lo schermo a sinistra visualizza ulteriori dati. In rapidissima successione, vengono fornite informazioni di base: nome del conflitto, forza aerea responsabile, città bombardata e numero di vittime civili. Le perdite militari non sono incluse. Lo schermo a destra mostra le fotografie reperite di quel particolare giorno, molte delle quali scattate da giornalisti che hanno rischiato la propria vita pur di riuscire a farle; a volte sono state scattate dagli stessi eserciti coinvolti nelle guerre e, più di recente, dalle vittime stesse che, grazie alla proliferazione delle fotocamere dei cellulari e alla rapida diffusione attraverso i social network, hanno iniziato a narrare in prima persona le proprie sofferenze. Non tutte le immagini mostrano le vittime. Alcune fanno vedere la tecnologia impiegata, l’aereo in volo, i preparativi per l’attacco. Sono immagini che si evolvono nel tempo, passando dal bianco e nero alle foto a colori, fino a tecnologie di imaging più sofisticate come l’infrarosso o le viste satellitari. La durata di Unending Lightning aumenta con il trascorrere del tempo. Non solo perché ogni giorno che passa ci sono, purtroppo, più attacchi aerei da includere, ma anche perché si tratta di uno studio di enorme portata per il quale l’artista non ha previsto una fine. Nuovi dati, altre immagini e ulteriori dettagli continuano a emergere.
L’opera non ha suono. Il suo silenzio ci permette di immaginare il fragore di ciascuna delle esplosioni che ad essa danno forma. In molte occasioni, l’artista affianca questo lavoro a un altro, Piper Prometheus (2013), un video che mostra un aeroplano intento a sorvolare un’area urbana trascinando uno striscione. Il rombo del motore è tutto ciò che si sente. Sullo striscione si legge L=(1/2)dv2sCL, ovvero l’equazione della portanza, che spiega perché gli aerei sono in grado di volare.
SE L’OPERA DI PICASSO FU IL RISULTATO DI QUALCOSA A CUI DI SOLITO SI DÀ IL NOME DI “GENIO”, DIPINTA NELLA SOLITUDINE DI UNA SOFFITTA PARIGINA, UNENDING LIGHTNING È IL RISULTATO DELL’IMPEGNO. NON SI TRATTA DI TRASFORMARE QUALCOSA DI PARTICOLARE IN QUALCOSA DI UNIVERSALE, QUANTO PIUTTOSTO DI RIUNIRE IL TUTTO.
Se l’opera di Picasso fu il risultato di qualcosa a cui di solito si dà il nome di “genio”, dipinta nella solitudine di una soffitta parigina, Unending Lightning è il risultato dell’impegno. Non si tratta di trasformare qualcosa di particolare in qualcosa di universale, quanto piuttosto di riunire il tutto. Ore e ore di lavoro di una squadra numerosa chiamata a scrivere la storia in un modo in cui non era mai stata scritta prima. Non solo continuano a raccogliere dati sparsi in una molteplicità di fonti: dai libri di storia agli archivi militari, passando per le testimonianze raccolte dalla stampa di tutto il mondo. I dati su cui si basa sono quelli dei bombardamenti aerei, ovvero di esplosivi lanciati da aerei più pesanti dell’aria con pilota e che hanno causato vittime tra i civili. La distruzione provocata dall’artiglieria o da proiettili a propulsione autonoma, come i missili, non è inclusa. Il risultato è una narrazione che risulterebbe totalmente distaccata se non fosse per le immagini che l’accompagnano, le quali smuovono le nostre coscienze e fanno dell’indifferenza riservata dagli eserciti alle loro vittime—un’indifferenza che ne rinnova continuamente tale condizione—la protagonista del racconto.
Come siamo abituati a fare dopo secoli di narrazione eurocentrica, in Guernica un conflitto europeo assume sembianze universali. Unending Lightning, invece, è universale sin dal suo concepimento, poiché raccoglie tutti i bombardamenti avvenuti in ogni angolo del pianeta. Un attacco a Kabul non è meno rilevante di uno a New York, al pari di come uno a Gaza non è meno rilevante di uno a Berlino. Se appare una qualche gradazione, questa ha solo a che vedere con il numero di vittime. L’opera, infatti, non solo non è eurocentrica, ma lascia persino spazio a una nuova lettura delle conseguenze della colonizzazione. Le linee che appaiono dopo aver raccordato i luoghi in cui è avvenuto ciascuno dei bombardamenti sembrano ritracciare con discreta fedeltà quelle che segnò il colonialismo moderno e che ancora oggi tanto condizionano il presente, rappresentando la causa di molti dei conflitti armati.

Cristina Lucas, La Liberté Raisonnée, 2009. Still da video. Video HD 4:3, 4’50’’. Courtesy dell’artista
In quest’opera riappaiono una serie di interrogativi che accompagnano l’intera ricerca di Cristina Lucas. Come la maggior parte delle sue opere, è il risultato di un atto performativo, che non solo dice ma fa. Quest’idea di azione attraversa quasi tutti gli aspetti che definiscono Unending Lightning. Appare fin dall’inizio, già nella fase di concepimento. Ciò che accomuna tutti i casi è un’azione, quella del bombardamento dal cielo, scelta con grande rigore. Nell’opera vengono inclusi solo quelli che hanno richiesto una manovra premeditata, di complessa preparazione ed esecuzione. Questa performatività si estende non solo alla centralità del corpo umano—ciò che viene contato è il numero di morti, ovvero il numero di corpi senza vita—ma anche al fatto che si tratta di un’opera che, sebbene lo spettatore non ne sia consapevole, si fa mentre la si osserva, poiché ogni volta che l’opera viene attivata un programma software reinterpreta i dati e li converte in segni visibili.
Un altro aspetto presente anche in altre opere dell’artista è una rilettura della storia volta a mettere in discussione sia lo status quo che le narrazioni egemoniche, generalmente scritte da potenti uomini bianchi europei che si sono impadroniti della storiografia e hanno condizionato il modus operandi di tutti i meccanismi del potere. In La Liberté Raisoneé (2009), fa rivivere la famosa tela di Eugène Delacroix che ci ricorda di quella scomoda virtù per la cui affermazione occorre lottare. Cristina Lucas si chiede: cosa accadrebbe se una donna seminuda issasse una bandiera nel mezzo di una battaglia? Qualcosa di terribile. Probabilmente verrebbe violentata, picchiata, uccisa. Questo è quello che accade nel video. Molto lentamente, i protagonisti del quadro, tutti uomini, catturano e aggrediscono la Libertà. L’Illuminismo, che dissipò le tenebre dichiarando il dominio della ragione, mise da parte le donne. Anzi, ancor peggio: le sottomise ancora di più, come lei stessa chiarisce in un’altra opera, Rousseau y Sophie (2007), che ricorda come il contributo di Jean-Jacques Rousseau alla pedagogia fosse destinato esclusivamente ai bambini maschi. Il libro a cui il lavoro allude ripercorre la crescita di Emilio nel corso della sua intera vita, mentre l’educazione di Sofia è solamente finalizzata a renderla sua moglie.4 In Touch and Go (2010) Lucas dà al subalterno la possibilità di scrivere la storia. Il video ha come protagonisti ex operai delle industrie del Merseyside, vittime della avidità neoliberale di Margaret Thatcher, ormai anziani elegantemente vestiti. Uno dopo l’altro, tornano a confrontarsi con le loro aziende rompendo i pochi vetri ancora integri degli edifici in cui un tempo lavoravano e da cui furono licenziati per delocalizzare la produzione in luoghi in cui la classe operaia era soggiogata al pari di come lo era nel XIX secolo nel Regno Unito.
La cartografia—quell’espressione nient’affatto impalpabile del potere, che traccia sul territorio delle linee nette e spesse volte arbitrarie—è presente anche in altre sue opere, molte delle quali sempre strutturate in modo cronologico. Si tratta quasi sempre di processi incompiuti, opere che non saranno mai completate perché, avendo anche un carattere performativo, rispondono sia al passato che al futuro dell’umanità. Pantone -500 +2007 (2007) è un esercizio cromatico che dà visibilità ai soli territori organizzati secondo la nozione occidentale di “stato”, dando di conseguenza vita a una divisione della società tra potenti e sottomessi. Un indicatore segna il progredire della storia: un secondo per ogni anno trascorso. Nelle immagini, i cambiamenti si manifestano soltanto mediante dei colori che appaiono e scompaiono, seguendo una logica basata sul codice introdotto negli ultimi decenni dall’azienda omonima del New Jersey. Non emerge, però, ciò che ogni cambiamento sottende: guerre, rivoluzioni e morti, molti morti. Questa indagine sulla cartografia è presente anche in Light Years (2009), un grande lightbox installato in una sala espositiva completamente buia. In questo caso, non è uno schermo a riflettere la luce emessa da un proiettore: è l’opera a emanare la luce che illumina la stanza. L’indicatore, questa volta, inizia dall’anno 1789 e, anche in questo caso, arriva fino ai nostri giorni. Uno per uno, segnala i paesi del mondo in cui è stato ottenuto il diritto di voto, applicando un codice diverso per ciascun caso: dal voto esclusivamente maschile e riservato a un solo gruppo sociale (generalmente, la popolazione bianca) al suffragio universale per l’intera popolazione adulta. Una conquista dell’umanità o un’imposizione universale del pensiero politico europeo? L’opera non risolve questa tensione, ma celebra la visibilità politica del cittadino e condanna all’oscurità quegli stati che hanno messo a tacere i propri cittadini per periodi troppo lunghi della storia contemporanea. In Mundo Masculino y Mundo Femenino (2010) rivela, ancora una volta in forma cartografica—servendosi in questo caso di due grandi sfere raffiguranti il mondo—il nome più popolare con cui sono indicati i genitali in tutti i paesi della terra. Ancora una volta, è il popolo a disegnare la mappa del mondo. In ogni paese esiste una parola gergale per indicare il pene e la vulva. Due parole che si dicono molto più frequentemente di quanto non si scrivano e che definiscono una geografia di ciò che è sconveniente o inappropriato.

Cristina Lucas, Mundo Masculino y Mundo Femenino, 2010. Courtesy dell’artista
Forse l’aspetto più rilevante di Unending Lightning è la serie di riflessioni che scatena sul significato del lavoro nell’arte e sulla nozione di efficienza. L’opera sfida la pazienza di qualsiasi spettatore. Chi scrive queste righe si era ingenuamente proposto di vederla nella sua interezza all’epoca della sua presentazione a Madrid, nel 2017, senza avere chiaro in mente di quanto tempo avrebbe avuto bisogno. Questo approccio si estende all’idea stessa di ricerca: cosa significa la ricerca nell’arte? Che tipo di conoscenza può generare? E come articolare questa informazione rigorosa per farla collimare con l’esperienza dello spettatore?
Sappiamo che l’arte è uno dei modi più efficaci per conoscere la storia. Una buona parte della società occidentale impara alla scuola superiore, proprio attraverso le immagini create dagli artisti, a conoscere la vittoria di Traiano, la morte di Marat o la rivolta del popolo parigino di fronte alle ingiustizie di Carlo X. Ma come fare a leggere qualcosa di così ampio come la storia del secolo scorso attraverso una singola opera d’arte? Unending Lightning indica una strada e, al tempo stesso, definisce un ruolo per l’artista. In questo caso non guardiamo attraverso una visione, bensì attraverso il rigore. Non ci aspettiamo una spiegazione, un’interpretazione o una voce, ma un resoconto basato su fatti accertati. Dagli anni ’90 in poi, abbiamo sperimentato quella che è stata chiamata la svolta forense, la maggiore rilevanza data allo studio delle tracce materiali quale modo per resistere a quel vecchio adagio che ci diceva non solo che la storia è scritta dai vincitori, ma che ogni forma di resistenza all’abuso di potere e alla distruzione avrebbe potuto unicamente portare a maggiori ingiustizie. Eyal Weizman, che applicò questa massima all’architettura, affermò che è possibile comprendere “la materialità e la struttura di un edificio come una superficie sulla quale gli eventi vengono impressi e il processo diventa forma”.5 Il collettivo di cui è alla guida, Forensic Architecture, negli oltre quindici anni di attività ha indagato molteplici conflitti, scegliendo alcuni capitoli specifici per sezionarli e identificare coloro che attaccano i deboli e violano i diritti umani. In questo modo, è emersa la possibilità di dare voce alle vittime e, cosa più importante, di far sì che i colpevoli siano giudicati ed eventualmente condannati sulla base delle prove fornite dagli artisti. Siamo a un importante punto di svolta: l’artista non racconta più solo la storia, ma è anche in grado di aggiungere degli elementi per poterla giudicare. Cristina Lucas si spinge ancora oltre. Partendo da un approccio “forense”, porta il dibattito dall’ostracismo alla luce, dall’oblio al foro—da intendersi nel suo significato etimologico. Amplifica questa logica e, per farlo, utilizza un meccanismo di inversione che ne moltiplica il significato. Se la strategia forense prevede il rallentamento del succedersi degli eventi e l’intensificazione della sensibilità allo spazio, al tempo e alle immagini, Cristina Lucas ottiene lo stesso risultato accelerando il tempo e sistematizzando lo studio di enormi serie di dati. In altre parole, se Weizman passa ore a studiare quello che è successo in un istante—quello in cui è esploso un proiettile, per esempio—Lucas impiega lo stesso tempo a studiare quello che è successo in un intero secolo—quello in cui sono esplosi milioni di proiettili. Non si tratta solo della necessità di giustizia, ma anche di generare nuove dinamiche di lutto collettivo, di riunire i vivi—e, quindi, chi deve ancora arrivare—con i morti, e della capacità delle nostre società di costruire il futuro a partire dal superamento dei conflitti e dal riconoscimento di tutto il dolore che hanno generato.
— Traduzione dallo spagnolo
di Valentina Moriconi
Ferran Barenblit, Direttore, MACBA – Museu d’Art Contemporani de Barcelona
Ferran Barenblit (1968, Buenos Aires) è un direttore di museo con una vasta esperienza curatoriale. Dal 2015 è Direttore del MACBA, dove è alla guida del piano strategico che ha portato l’istituzione a una nuova fase, ampliando i suoi spazi espositivi e creando ambiziose iniziative intellettuali, accademiche, artistiche e di espansione del pubblico.
La ricerca di Barenblit include il ripensare le istituzioni contemporanee attraverso l’idea di “museo costituente”; la storia dell’arte contemporanea, soprattutto quella degli anni ’90; il ruolo dell’ironia nella cultura; le strategie di programmazione museale; il rapporto tra arte e cultura popolare—inclusa la musica e il movimento punk. Ha un profondo interesse nel generare un dialogo significativo tra l’Europa e la sua nativa America Latina. Ha creato molti progetti che hanno viaggiato da Barcellona/Madrid a Città del Messico (MUAC – Museo Universitario Arte Contemporáneo) e Buenos Aires (Museo Nacional de Bellas Artes, Fundación Proa).
La sua precedente esperienza istituzionale include CA2M, Madrid (Direttore, 2008-2015); CASM, Barcellona (Direttore, 2002-2008); Fundació Joan Miró, Barcellona (Curatore, 1996-2001); e The New Museum, New York (Assistente curatoriale, 1994-1996).
Cristina Lucas, Artista
Cristina Lucas è un’artista che vive e lavora a Madrid. Il suo lavoro è stato incluso in mostre personali, come “Trading Transcendence” al MUDAM, Lussemburgo; “Tod Bringendes Licht” al Kunstraum di Innsbruck; “Light Years” al Centro de Arte 2 de Mayo, Móstoles; così come in mostre collettive, festival e biennali, come Yokohama Triennal, 12 Shanghai Biennale, Manifesta 12 a Palermo, Liverpool Biennial, X Bienal de La Habana, 28 Bienal de Sao Paolo, 10 Istanbul Biennal, tra molti altri.
1 “[Guerra] / La vecchiaia nei villaggi. / Il cuore senza padrone. / L’amore senza oggetto. / L’erba, la polvere, il corvo. / E la gioventù? / Nella bara” (TdR).
2 Edwin Honig (a cura e traduzione di), The Unending Lightning: Selected Poems of Miguel Hernández, Riverdale-on-Hudson, NY: Sheep Meadow Press, 1990, p. 15.
3 Gernika è il nome in lingua basca di Guernica.
4 Jean-Jacques Rousseau, Emilio o dell’educazione, 1762.
5 Eyal Weizman, Forensic Architecture: Violence at the Threshold of Detectability, Brooklyn, NY: Zone Books, 2017 (TdR).
MENTRE CADONO LE BOMBE
Ferran Barenblit su Unending Lightning (2015-in corso) di Cristina Lucas
Attraverso l’analisi del lavoro di Cristina Lucas Unending Lightning (2015-in corso), Ferran Barenblit traccia la storia nefasta dei bombardamenti aerei sondando limiti e possibilità della loro rappresentazione visiva da parte degli artisti.

Cristina Lucas, Unending Lightning, 2015-in corso. Installazione video a 3 canali. Courtesy dell’artista. Collezione Fondazione In Between Art Film
[War]1
The aged in the villages
Ownerless heart.
Love with no object
Grass, dust and crow.
And youth?
In the coffin
Miguel Hernández, 19362
L’opera più rilevante dell’arte spagnola del XX secolo, e forse una delle opere più conosciute da chiunque in pressoché ogni parte del mondo, raffigura l’orrore e la morte causati da un bombardamento aereo.
Il 26 aprile 1937, la città di Gernika visse uno degli episodi più ignobili della guerra civile spagnola.3 La Legione Condor tedesca e l’Aviazione Legionaria italiana, in appoggio agli sforzi bellici dei ribelli pro-Franco, realizzarono una spietata operazione militare in cui schierarono una forza sproporzionata rispetto all’importanza militare dell’obiettivo. Trentuno bombardieri—tra cui lo Junkers Ju 52, emblema dell’industria aerea nazista—supportati da ventisei caccia, lanciarono una combinazione di bombe esplosive e incendiarie e mitragliarono la popolazione civile dal cielo per tre interminabili ore. Non fu il primo bombardamento aereo della guerra civile spagnola, tutt’altro: appena poche ore dopo l’insurrezione militare del luglio del ‘36, l’aviazione repubblicana improvvisò un attacco alle caserme dei ribelli pro-Franco in Nord Africa. La limitata preparazione degli aviatori fece sì che alcune delle bombe cadessero anche sulla vicina moschea e nell’area a essa limitrofa, provocando diverse vittime. Per quanto riguarda Gernika, molti degli interrogativi su quell’attacco rimarranno per sempre senza risposta, dalla motivazione che ne fu alla base a chi diede l’ordine effettivo, e finanche il numero di vittime, a oggi stimato come inferiore alle trecento. Con il tempo, questo bombardamento si trasformò in un mito crudele, emblema della spietatezza del fascismo e delle nefandezze proprie di ogni guerra.
Nel gennaio dello stesso anno, Pablo Picasso venne incaricato dal governo spagnolo di dipingere un quadro di grande formato per il padiglione spagnolo in occasione dell’Esposizione Universale di Parigi, che si sarebbe tenuta quella stessa estate. Progettato da Josep Lluís Sert e Luis Lacasa Navarro, riuniva anche opere di Joan Miró e Alberto Sánchez, per citare alcune delle molte (e sole) figure maschili presenti, e fu uno degli strumenti di propaganda più efficaci della Repubblica. Il rapporto tra Picasso, che viveva da anni in Francia, e la Repubblica era passato da un’iniziale indifferenza a uno di compromesso, frutto dell’insistenza di alcuni intellettuali vicini al governo, come Josep Renau, il quale era certo che il grande prestigio di cui Picasso già allora godeva potesse essere di aiuto all’estero. Nonostante il poco tempo a disposizione, quasi quattro mesi più tardi l’artista aveva a malapena realizzato alcuni schizzi. Ma le notizie in arrivo dai Paesi Baschi cambiarono ogni cosa e accelerarono la produzione dell’opera. Il 12 luglio, con un ritardo notevole rispetto alla data di inaugurazione dell’Esposizione Universale, il quadro, che misurava 7,75 x 3,5 m, fu presentato insieme al resto del Padiglione. I dettagli della commissione di Guernica e i fatti che successivamente lo riguardarono, tutti accuratamente annotati, fanno di essa una delle opere d’arte con tutta probabilità meglio documentate della storia.
Cos’è che rende Guernica una delle opere più rilevanti del XX secolo, simbolo dell’incommensurabile sofferenza generata da tutte le guerre? Al di là della sua efficacia e del suo posto nella storia, dobbiamo riconoscere che l’opera non presenta tratti di particolare spicco. Ciò che fa di essa una rarità è il fatto che sia pressoché l’unica opera “politica” di un artista più spesso alle prese con tematiche convenzionali quali paesaggi, nature morte, ritratti, corride e qualche astrazione. Si potrebbe pensare che a renderla celebre siano state le sue dimensioni, il suo forte codice visivo, una certa indeterminatezza che ne moltiplica le possibili letture, il suo essere portatrice dell’eredità della Repubblica, la sua movimentata storia successiva, il suo epico trasferimento in Spagna al culmine della transizione democratica del Paese. O, ancora, la sua mancanza di riferimenti: l’opera trasuda sofferenza, ma non è chiaro di quale natura essa sia. Rende il locale, globale; il particolare, universale. Quale che sia la risposta, il dipinto è lì, che raduna attorno a sé il pubblico devoto del Museo Reina Sofía, che si fa spazio con difficoltà pur di poter avere un saggio dell’opera.

Cristina Lucas, Unending Lightning (dettaglio), 2015-in corso. Still da video. Installazione video a 3 canali. Courtesy dell’artista. Collezione Fondazione In Between Art Film
Se non fosse che le nefandezze non hanno limiti e che la tecnologia militare ha creato modalità molteplici di infliggere sofferenza e provocare sterminio, si potrebbe pensare che il bombardamento aereo sia uno dei modi più crudeli di condurre una guerra. La distanza tra aggressore e aggredito—che impedisce qualsiasi forma di compassione o rimorso nell’aggressore—il carattere indiscriminato di molti bombardamenti, il loro abituale bersaglio, rappresentato da popolazioni civili disarmate e la facilità con cui possono essere eseguiti, fanno di essi una delle conseguenze più ripugnanti del progresso. Con la loro invenzione, la strategia militare mutò radicalmente: il soldato, che prima andava al fronte per difendere il proprio paese e i deboli, rimasti in retroguardia—i suoi familiari anziani, i figli, la madre, le sorelle—ora li vede morire mentre è intento a conquistare la terra nemica. Forse in origine l’obiettivo dell’incursione aerea era quello di scoraggiare il soldato: una volta morti quelli che avrebbe dovuto difendere, non sarebbe più valsa la pena di continuare a combattere. Tuttavia, lo svelamento di questa truce logica non pose in alcun modo fine a tale spargimento di sangue. L’attacco aereo è spesso imprevisto. Le vittime non hanno pressoché alcuna possibilità di fuga, potendo nella migliore delle ipotesi cercare riparo in un rifugio sotterraneo di dubbia efficacia. È impreciso, repentino, fulmineo e inesorabilmente letale. I danni collaterali sono considerevoli, anche quando, in uno sfoggio di vanità per il progresso, ormai dalla prima guerra del Golfo, gli eserciti si vantano di avere munizioni teoricamente precise. Inoltre, la distruzione che genera e gli effetti secondari che lascia dietro di sé (pensiamo all’Agente Arancio durante la Guerra del Vietnam) moltiplicano la sciagura e il dolore.
L’introduzione dell’aeroplano negli eserciti fu relativamente precoce. Già nel 1910, appena sei anni dopo il primo volo dei fratelli Wright, si effettuavano voli di ricognizione, affinché le informazioni così ottenute dessero alla fanteria o all’artiglieria un vantaggio sul nemico. Fu proprio durante uno di questi pattugliamenti aerei, qualche mese più tardi, durante la campagna di Libia, che l’esercito italiano lanciò il primo esplosivo sulle linee nemiche. Si trattò di un’azione spontanea che provocò danni di cui non esistono stime precise. L’autore, un tenente, fu redarguito dai suoi compagni, che lo accusarono di essere un codardo. Non che avessero torto: l’incursione aerea è il più vile degli attacchi. Il triste merito del primo attacco pianificato va a un’altra nazione europea del Mediterraneo, la Spagna: il 5 novembre 1913, aerei dell’aviazione lanciarono bombe da dieci chilogrammi su obiettivi militari nella regione nord Africana del Rif. L’ultimo, mentre scrivo queste righe, nel febbraio del 2021, è avvenuto appena qualche ora fa, in Siria, o almeno così apprendo dalla CNN. Nel mezzo, si sono susseguiti migliaia di attacchi che hanno provocato milioni di vittime civili. Se si dovesse pensare che la parola “milioni” utilizzata in questo contesto sia un’esagerazione, bisognerebbe considerare che durante la seconda guerra mondiale Berlino subì quasi quattrocento bombardamenti, durante i quali furono sganciate quasi settantamila tonnellate di esplosivo, e che in Giappone, in soli tre giorni, nell’agosto del 1945, morirono duecentomila persone. Così tanti attacchi e così tante vittime che nessuno aveva mai (!) pensato di raccogliere in modo sistematico informazioni su ciascuno di essi per poi presentarle in modo chiaro e intellegibile.

Cristina Lucas, Unending Lightning (dettaglio), 2015-in corso. Still da video. Installazione video a 3 canali. Courtesy dell’artista. Collezione Fondazione In Between Art Film
In Unending Lightning (2015-in corso), Cristina Lucas pone rimedio a questa mancanza. Si tratta di un’opera che viene proiettata, ma che non è di per sé un video, bensì un programma informatico che raccoglie le informazioni e le presenta su tre schermi. Non c’è una pellicola, ma una serie di dati e immagini che vengono elaborati in un modo specifico. Lo schermo centrale mostra una mappa del mondo sulla quale i nomi delle città bombardate, ciascuno nella sua effettiva ubicazione geografica, appaiono in successione per poi rimanervi al pari dei segni del bombardamento, che lasciano una cicatrice eterna. La dimensione di ciascun nome è proporzionale al numero di vittime prodotte dalla detonazione. Il movimento delle scritte ricorda la caduta dell’esplosivo. Lo schermo a sinistra visualizza ulteriori dati. In rapidissima successione, vengono fornite informazioni di base: nome del conflitto, forza aerea responsabile, città bombardata e numero di vittime civili. Le perdite militari non sono incluse. Lo schermo a destra mostra le fotografie reperite di quel particolare giorno, molte delle quali scattate da giornalisti che hanno rischiato la propria vita pur di riuscire a farle; a volte sono state scattate dagli stessi eserciti coinvolti nelle guerre e, più di recente, dalle vittime stesse che, grazie alla proliferazione delle fotocamere dei cellulari e alla rapida diffusione attraverso i social network, hanno iniziato a narrare in prima persona le proprie sofferenze. Non tutte le immagini mostrano le vittime. Alcune fanno vedere la tecnologia impiegata, l’aereo in volo, i preparativi per l’attacco. Sono immagini che si evolvono nel tempo, passando dal bianco e nero alle foto a colori, fino a tecnologie di imaging più sofisticate come l’infrarosso o le viste satellitari. La durata di Unending Lightning aumenta con il trascorrere del tempo. Non solo perché ogni giorno che passa ci sono, purtroppo, più attacchi aerei da includere, ma anche perché si tratta di uno studio di enorme portata per il quale l’artista non ha previsto una fine. Nuovi dati, altre immagini e ulteriori dettagli continuano a emergere.
L’opera non ha suono. Il suo silenzio ci permette di immaginare il fragore di ciascuna delle esplosioni che ad essa danno forma. In molte occasioni, l’artista affianca questo lavoro a un altro, Piper Prometheus (2013), un video che mostra un aeroplano intento a sorvolare un’area urbana trascinando uno striscione. Il rombo del motore è tutto ciò che si sente. Sullo striscione si legge L=(1/2)dv2sCL, ovvero l’equazione della portanza, che spiega perché gli aerei sono in grado di volare.
SE L’OPERA DI PICASSO FU IL RISULTATO DI QUALCOSA A CUI DI SOLITO SI DÀ IL NOME DI “GENIO”, DIPINTA NELLA SOLITUDINE DI UNA SOFFITTA PARIGINA, UNENDING LIGHTNING È IL RISULTATO DELL’IMPEGNO. NON SI TRATTA DI TRASFORMARE QUALCOSA DI PARTICOLARE IN QUALCOSA DI UNIVERSALE, QUANTO PIUTTOSTO DI RIUNIRE IL TUTTO.
Se l’opera di Picasso fu il risultato di qualcosa a cui di solito si dà il nome di “genio”, dipinta nella solitudine di una soffitta parigina, Unending Lightning è il risultato dell’impegno. Non si tratta di trasformare qualcosa di particolare in qualcosa di universale, quanto piuttosto di riunire il tutto. Ore e ore di lavoro di una squadra numerosa chiamata a scrivere la storia in un modo in cui non era mai stata scritta prima. Non solo continuano a raccogliere dati sparsi in una molteplicità di fonti: dai libri di storia agli archivi militari, passando per le testimonianze raccolte dalla stampa di tutto il mondo. I dati su cui si basa sono quelli dei bombardamenti aerei, ovvero di esplosivi lanciati da aerei più pesanti dell’aria con pilota e che hanno causato vittime tra i civili. La distruzione provocata dall’artiglieria o da proiettili a propulsione autonoma, come i missili, non è inclusa. Il risultato è una narrazione che risulterebbe totalmente distaccata se non fosse per le immagini che l’accompagnano, le quali smuovono le nostre coscienze e fanno dell’indifferenza riservata dagli eserciti alle loro vittime—un’indifferenza che ne rinnova continuamente tale condizione—la protagonista del racconto.
Come siamo abituati a fare dopo secoli di narrazione eurocentrica, in Guernica un conflitto europeo assume sembianze universali. Unending Lightning, invece, è universale sin dal suo concepimento, poiché raccoglie tutti i bombardamenti avvenuti in ogni angolo del pianeta. Un attacco a Kabul non è meno rilevante di uno a New York, al pari di come uno a Gaza non è meno rilevante di uno a Berlino. Se appare una qualche gradazione, questa ha solo a che vedere con il numero di vittime. L’opera, infatti, non solo non è eurocentrica, ma lascia persino spazio a una nuova lettura delle conseguenze della colonizzazione. Le linee che appaiono dopo aver raccordato i luoghi in cui è avvenuto ciascuno dei bombardamenti sembrano ritracciare con discreta fedeltà quelle che segnò il colonialismo moderno e che ancora oggi tanto condizionano il presente, rappresentando la causa di molti dei conflitti armati.

Cristina Lucas, La Liberté Raisonnée, 2009. Still da video. Video HD 4:3, 4’50’’. Courtesy dell’artista
In quest’opera riappaiono una serie di interrogativi che accompagnano l’intera ricerca di Cristina Lucas. Come la maggior parte delle sue opere, è il risultato di un atto performativo, che non solo dice ma fa. Quest’idea di azione attraversa quasi tutti gli aspetti che definiscono Unending Lightning. Appare fin dall’inizio, già nella fase di concepimento. Ciò che accomuna tutti i casi è un’azione, quella del bombardamento dal cielo, scelta con grande rigore. Nell’opera vengono inclusi solo quelli che hanno richiesto una manovra premeditata, di complessa preparazione ed esecuzione. Questa performatività si estende non solo alla centralità del corpo umano—ciò che viene contato è il numero di morti, ovvero il numero di corpi senza vita—ma anche al fatto che si tratta di un’opera che, sebbene lo spettatore non ne sia consapevole, si fa mentre la si osserva, poiché ogni volta che l’opera viene attivata un programma software reinterpreta i dati e li converte in segni visibili.
Un altro aspetto presente anche in altre opere dell’artista è una rilettura della storia volta a mettere in discussione sia lo status quo che le narrazioni egemoniche, generalmente scritte da potenti uomini bianchi europei che si sono impadroniti della storiografia e hanno condizionato il modus operandi di tutti i meccanismi del potere. In La Liberté Raisoneé (2009), fa rivivere la famosa tela di Eugène Delacroix che ci ricorda di quella scomoda virtù per la cui affermazione occorre lottare. Cristina Lucas si chiede: cosa accadrebbe se una donna seminuda issasse una bandiera nel mezzo di una battaglia? Qualcosa di terribile. Probabilmente verrebbe violentata, picchiata, uccisa. Questo è quello che accade nel video. Molto lentamente, i protagonisti del quadro, tutti uomini, catturano e aggrediscono la Libertà. L’Illuminismo, che dissipò le tenebre dichiarando il dominio della ragione, mise da parte le donne. Anzi, ancor peggio: le sottomise ancora di più, come lei stessa chiarisce in un’altra opera, Rousseau y Sophie (2007), che ricorda come il contributo di Jean-Jacques Rousseau alla pedagogia fosse destinato esclusivamente ai bambini maschi. Il libro a cui il lavoro allude ripercorre la crescita di Emilio nel corso della sua intera vita, mentre l’educazione di Sofia è solamente finalizzata a renderla sua moglie.4 In Touch and Go (2010) Lucas dà al subalterno la possibilità di scrivere la storia. Il video ha come protagonisti ex operai delle industrie del Merseyside, vittime della avidità neoliberale di Margaret Thatcher, ormai anziani elegantemente vestiti. Uno dopo l’altro, tornano a confrontarsi con le loro aziende rompendo i pochi vetri ancora integri degli edifici in cui un tempo lavoravano e da cui furono licenziati per delocalizzare la produzione in luoghi in cui la classe operaia era soggiogata al pari di come lo era nel XIX secolo nel Regno Unito.
La cartografia—quell’espressione nient’affatto impalpabile del potere, che traccia sul territorio delle linee nette e spesse volte arbitrarie—è presente anche in altre sue opere, molte delle quali sempre strutturate in modo cronologico. Si tratta quasi sempre di processi incompiuti, opere che non saranno mai completate perché, avendo anche un carattere performativo, rispondono sia al passato che al futuro dell’umanità. Pantone -500 +2007 (2007) è un esercizio cromatico che dà visibilità ai soli territori organizzati secondo la nozione occidentale di “stato”, dando di conseguenza vita a una divisione della società tra potenti e sottomessi. Un indicatore segna il progredire della storia: un secondo per ogni anno trascorso. Nelle immagini, i cambiamenti si manifestano soltanto mediante dei colori che appaiono e scompaiono, seguendo una logica basata sul codice introdotto negli ultimi decenni dall’azienda omonima del New Jersey. Non emerge, però, ciò che ogni cambiamento sottende: guerre, rivoluzioni e morti, molti morti. Questa indagine sulla cartografia è presente anche in Light Years (2009), un grande lightbox installato in una sala espositiva completamente buia. In questo caso, non è uno schermo a riflettere la luce emessa da un proiettore: è l’opera a emanare la luce che illumina la stanza. L’indicatore, questa volta, inizia dall’anno 1789 e, anche in questo caso, arriva fino ai nostri giorni. Uno per uno, segnala i paesi del mondo in cui è stato ottenuto il diritto di voto, applicando un codice diverso per ciascun caso: dal voto esclusivamente maschile e riservato a un solo gruppo sociale (generalmente, la popolazione bianca) al suffragio universale per l’intera popolazione adulta. Una conquista dell’umanità o un’imposizione universale del pensiero politico europeo? L’opera non risolve questa tensione, ma celebra la visibilità politica del cittadino e condanna all’oscurità quegli stati che hanno messo a tacere i propri cittadini per periodi troppo lunghi della storia contemporanea. In Mundo Masculino y Mundo Femenino (2010) rivela, ancora una volta in forma cartografica—servendosi in questo caso di due grandi sfere raffiguranti il mondo—il nome più popolare con cui sono indicati i genitali in tutti i paesi della terra. Ancora una volta, è il popolo a disegnare la mappa del mondo. In ogni paese esiste una parola gergale per indicare il pene e la vulva. Due parole che si dicono molto più frequentemente di quanto non si scrivano e che definiscono una geografia di ciò che è sconveniente o inappropriato.

Cristina Lucas, Mundo Masculino y Mundo Femenino, 2010. Courtesy dell’artista
Forse l’aspetto più rilevante di Unending Lightning è la serie di riflessioni che scatena sul significato del lavoro nell’arte e sulla nozione di efficienza. L’opera sfida la pazienza di qualsiasi spettatore. Chi scrive queste righe si era ingenuamente proposto di vederla nella sua interezza all’epoca della sua presentazione a Madrid, nel 2017, senza avere chiaro in mente di quanto tempo avrebbe avuto bisogno. Questo approccio si estende all’idea stessa di ricerca: cosa significa la ricerca nell’arte? Che tipo di conoscenza può generare? E come articolare questa informazione rigorosa per farla collimare con l’esperienza dello spettatore?
Sappiamo che l’arte è uno dei modi più efficaci per conoscere la storia. Una buona parte della società occidentale impara alla scuola superiore, proprio attraverso le immagini create dagli artisti, a conoscere la vittoria di Traiano, la morte di Marat o la rivolta del popolo parigino di fronte alle ingiustizie di Carlo X. Ma come fare a leggere qualcosa di così ampio come la storia del secolo scorso attraverso una singola opera d’arte? Unending Lightning indica una strada e, al tempo stesso, definisce un ruolo per l’artista. In questo caso non guardiamo attraverso una visione, bensì attraverso il rigore. Non ci aspettiamo una spiegazione, un’interpretazione o una voce, ma un resoconto basato su fatti accertati. Dagli anni ’90 in poi, abbiamo sperimentato quella che è stata chiamata la svolta forense, la maggiore rilevanza data allo studio delle tracce materiali quale modo per resistere a quel vecchio adagio che ci diceva non solo che la storia è scritta dai vincitori, ma che ogni forma di resistenza all’abuso di potere e alla distruzione avrebbe potuto unicamente portare a maggiori ingiustizie. Eyal Weizman, che applicò questa massima all’architettura, affermò che è possibile comprendere “la materialità e la struttura di un edificio come una superficie sulla quale gli eventi vengono impressi e il processo diventa forma”.5 Il collettivo di cui è alla guida, Forensic Architecture, negli oltre quindici anni di attività ha indagato molteplici conflitti, scegliendo alcuni capitoli specifici per sezionarli e identificare coloro che attaccano i deboli e violano i diritti umani. In questo modo, è emersa la possibilità di dare voce alle vittime e, cosa più importante, di far sì che i colpevoli siano giudicati ed eventualmente condannati sulla base delle prove fornite dagli artisti. Siamo a un importante punto di svolta: l’artista non racconta più solo la storia, ma è anche in grado di aggiungere degli elementi per poterla giudicare. Cristina Lucas si spinge ancora oltre. Partendo da un approccio “forense”, porta il dibattito dall’ostracismo alla luce, dall’oblio al foro—da intendersi nel suo significato etimologico. Amplifica questa logica e, per farlo, utilizza un meccanismo di inversione che ne moltiplica il significato. Se la strategia forense prevede il rallentamento del succedersi degli eventi e l’intensificazione della sensibilità allo spazio, al tempo e alle immagini, Cristina Lucas ottiene lo stesso risultato accelerando il tempo e sistematizzando lo studio di enormi serie di dati. In altre parole, se Weizman passa ore a studiare quello che è successo in un istante—quello in cui è esploso un proiettile, per esempio—Lucas impiega lo stesso tempo a studiare quello che è successo in un intero secolo—quello in cui sono esplosi milioni di proiettili. Non si tratta solo della necessità di giustizia, ma anche di generare nuove dinamiche di lutto collettivo, di riunire i vivi—e, quindi, chi deve ancora arrivare—con i morti, e della capacità delle nostre società di costruire il futuro a partire dal superamento dei conflitti e dal riconoscimento di tutto il dolore che hanno generato.
— Traduzione dallo spagnolo
di Valentina Moriconi
Ferran Barenblit, Direttore, MACBA – Museu d’Art Contemporani de Barcelona
Ferran Barenblit (1968, Buenos Aires) è un direttore di museo con una vasta esperienza curatoriale. Dal 2015 è Direttore del MACBA, dove è alla guida del piano strategico che ha portato l’istituzione a una nuova fase, ampliando i suoi spazi espositivi e creando ambiziose iniziative intellettuali, accademiche, artistiche e di espansione del pubblico.
La ricerca di Barenblit include il ripensare le istituzioni contemporanee attraverso l’idea di “museo costituente”; la storia dell’arte contemporanea, soprattutto quella degli anni ’90; il ruolo dell’ironia nella cultura; le strategie di programmazione museale; il rapporto tra arte e cultura popolare—inclusa la musica e il movimento punk. Ha un profondo interesse nel generare un dialogo significativo tra l’Europa e la sua nativa America Latina. Ha creato molti progetti che hanno viaggiato da Barcellona/Madrid a Città del Messico (MUAC – Museo Universitario Arte Contemporáneo) e Buenos Aires (Museo Nacional de Bellas Artes, Fundación Proa).
La sua precedente esperienza istituzionale include CA2M, Madrid (Direttore, 2008-2015); CASM, Barcellona (Direttore, 2002-2008); Fundació Joan Miró, Barcellona (Curatore, 1996-2001); e The New Museum, New York (Assistente curatoriale, 1994-1996).
Cristina Lucas, Artista
Cristina Lucas è un’artista che vive e lavora a Madrid. Il suo lavoro è stato incluso in mostre personali, come “Trading Transcendence” al MUDAM, Lussemburgo; “Tod Bringendes Licht” al Kunstraum di Innsbruck; “Light Years” al Centro de Arte 2 de Mayo, Móstoles; così come in mostre collettive, festival e biennali, come Yokohama Triennal, 12 Shanghai Biennale, Manifesta 12 a Palermo, Liverpool Biennial, X Bienal de La Habana, 28 Bienal de Sao Paolo, 10 Istanbul Biennal, tra molti altri.
1 “[Guerra] / La vecchiaia nei villaggi. / Il cuore senza padrone. / L’amore senza oggetto. / L’erba, la polvere, il corvo. / E la gioventù? / Nella bara” (TdR).
2 Edwin Honig (a cura e traduzione di), The Unending Lightning: Selected Poems of Miguel Hernández, Riverdale-on-Hudson, NY: Sheep Meadow Press, 1990, p. 15.
3 Gernika è il nome in lingua basca di Guernica.
4 Jean-Jacques Rousseau, Emilio o dell’educazione, 1762.
5 Eyal Weizman, Forensic Architecture: Violence at the Threshold of Detectability, Brooklyn, NY: Zone Books, 2017 (TdR).
MENTRE CADONO LE BOMBE
Ferran Barenblit su Unending Lightning (2015-in corso) di Cristina Lucas
Attraverso l’analisi del lavoro di Cristina Lucas Unending Lightning (2015-in corso), Ferran Barenblit traccia la storia nefasta dei bombardamenti aerei sondando limiti e possibilità della loro rappresentazione visiva da parte degli artisti.

Cristina Lucas, Unending Lightning, 2015-in corso. Installazione video a 3 canali. Courtesy dell’artista. Collezione Fondazione In Between Art Film
[War]1
The aged in the villages
Ownerless heart.
Love with no object
Grass, dust and crow.
And youth?
In the coffin
Miguel Hernández, 19362
L’opera più rilevante dell’arte spagnola del XX secolo, e forse una delle opere più conosciute da chiunque in pressoché ogni parte del mondo, raffigura l’orrore e la morte causati da un bombardamento aereo.
Il 26 aprile 1937, la città di Gernika visse uno degli episodi più ignobili della guerra civile spagnola.3 La Legione Condor tedesca e l’Aviazione Legionaria italiana, in appoggio agli sforzi bellici dei ribelli pro-Franco, realizzarono una spietata operazione militare in cui schierarono una forza sproporzionata rispetto all’importanza militare dell’obiettivo. Trentuno bombardieri—tra cui lo Junkers Ju 52, emblema dell’industria aerea nazista—supportati da ventisei caccia, lanciarono una combinazione di bombe esplosive e incendiarie e mitragliarono la popolazione civile dal cielo per tre interminabili ore. Non fu il primo bombardamento aereo della guerra civile spagnola, tutt’altro: appena poche ore dopo l’insurrezione militare del luglio del ‘36, l’aviazione repubblicana improvvisò un attacco alle caserme dei ribelli pro-Franco in Nord Africa. La limitata preparazione degli aviatori fece sì che alcune delle bombe cadessero anche sulla vicina moschea e nell’area a essa limitrofa, provocando diverse vittime. Per quanto riguarda Gernika, molti degli interrogativi su quell’attacco rimarranno per sempre senza risposta, dalla motivazione che ne fu alla base a chi diede l’ordine effettivo, e finanche il numero di vittime, a oggi stimato come inferiore alle trecento. Con il tempo, questo bombardamento si trasformò in un mito crudele, emblema della spietatezza del fascismo e delle nefandezze proprie di ogni guerra.
Nel gennaio dello stesso anno, Pablo Picasso venne incaricato dal governo spagnolo di dipingere un quadro di grande formato per il padiglione spagnolo in occasione dell’Esposizione Universale di Parigi, che si sarebbe tenuta quella stessa estate. Progettato da Josep Lluís Sert e Luis Lacasa Navarro, riuniva anche opere di Joan Miró e Alberto Sánchez, per citare alcune delle molte (e sole) figure maschili presenti, e fu uno degli strumenti di propaganda più efficaci della Repubblica. Il rapporto tra Picasso, che viveva da anni in Francia, e la Repubblica era passato da un’iniziale indifferenza a uno di compromesso, frutto dell’insistenza di alcuni intellettuali vicini al governo, come Josep Renau, il quale era certo che il grande prestigio di cui Picasso già allora godeva potesse essere di aiuto all’estero. Nonostante il poco tempo a disposizione, quasi quattro mesi più tardi l’artista aveva a malapena realizzato alcuni schizzi. Ma le notizie in arrivo dai Paesi Baschi cambiarono ogni cosa e accelerarono la produzione dell’opera. Il 12 luglio, con un ritardo notevole rispetto alla data di inaugurazione dell’Esposizione Universale, il quadro, che misurava 7,75 x 3,5 m, fu presentato insieme al resto del Padiglione. I dettagli della commissione di Guernica e i fatti che successivamente lo riguardarono, tutti accuratamente annotati, fanno di essa una delle opere d’arte con tutta probabilità meglio documentate della storia.
Cos’è che rende Guernica una delle opere più rilevanti del XX secolo, simbolo dell’incommensurabile sofferenza generata da tutte le guerre? Al di là della sua efficacia e del suo posto nella storia, dobbiamo riconoscere che l’opera non presenta tratti di particolare spicco. Ciò che fa di essa una rarità è il fatto che sia pressoché l’unica opera “politica” di un artista più spesso alle prese con tematiche convenzionali quali paesaggi, nature morte, ritratti, corride e qualche astrazione. Si potrebbe pensare che a renderla celebre siano state le sue dimensioni, il suo forte codice visivo, una certa indeterminatezza che ne moltiplica le possibili letture, il suo essere portatrice dell’eredità della Repubblica, la sua movimentata storia successiva, il suo epico trasferimento in Spagna al culmine della transizione democratica del Paese. O, ancora, la sua mancanza di riferimenti: l’opera trasuda sofferenza, ma non è chiaro di quale natura essa sia. Rende il locale, globale; il particolare, universale. Quale che sia la risposta, il dipinto è lì, che raduna attorno a sé il pubblico devoto del Museo Reina Sofía, che si fa spazio con difficoltà pur di poter avere un saggio dell’opera.

Cristina Lucas, Unending Lightning (dettaglio), 2015-in corso. Still da video. Installazione video a 3 canali. Courtesy dell’artista. Collezione Fondazione In Between Art Film
Se non fosse che le nefandezze non hanno limiti e che la tecnologia militare ha creato modalità molteplici di infliggere sofferenza e provocare sterminio, si potrebbe pensare che il bombardamento aereo sia uno dei modi più crudeli di condurre una guerra. La distanza tra aggressore e aggredito—che impedisce qualsiasi forma di compassione o rimorso nell’aggressore—il carattere indiscriminato di molti bombardamenti, il loro abituale bersaglio, rappresentato da popolazioni civili disarmate e la facilità con cui possono essere eseguiti, fanno di essi una delle conseguenze più ripugnanti del progresso. Con la loro invenzione, la strategia militare mutò radicalmente: il soldato, che prima andava al fronte per difendere il proprio paese e i deboli, rimasti in retroguardia—i suoi familiari anziani, i figli, la madre, le sorelle—ora li vede morire mentre è intento a conquistare la terra nemica. Forse in origine l’obiettivo dell’incursione aerea era quello di scoraggiare il soldato: una volta morti quelli che avrebbe dovuto difendere, non sarebbe più valsa la pena di continuare a combattere. Tuttavia, lo svelamento di questa truce logica non pose in alcun modo fine a tale spargimento di sangue. L’attacco aereo è spesso imprevisto. Le vittime non hanno pressoché alcuna possibilità di fuga, potendo nella migliore delle ipotesi cercare riparo in un rifugio sotterraneo di dubbia efficacia. È impreciso, repentino, fulmineo e inesorabilmente letale. I danni collaterali sono considerevoli, anche quando, in uno sfoggio di vanità per il progresso, ormai dalla prima guerra del Golfo, gli eserciti si vantano di avere munizioni teoricamente precise. Inoltre, la distruzione che genera e gli effetti secondari che lascia dietro di sé (pensiamo all’Agente Arancio durante la Guerra del Vietnam) moltiplicano la sciagura e il dolore.
L’introduzione dell’aeroplano negli eserciti fu relativamente precoce. Già nel 1910, appena sei anni dopo il primo volo dei fratelli Wright, si effettuavano voli di ricognizione, affinché le informazioni così ottenute dessero alla fanteria o all’artiglieria un vantaggio sul nemico. Fu proprio durante uno di questi pattugliamenti aerei, qualche mese più tardi, durante la campagna di Libia, che l’esercito italiano lanciò il primo esplosivo sulle linee nemiche. Si trattò di un’azione spontanea che provocò danni di cui non esistono stime precise. L’autore, un tenente, fu redarguito dai suoi compagni, che lo accusarono di essere un codardo. Non che avessero torto: l’incursione aerea è il più vile degli attacchi. Il triste merito del primo attacco pianificato va a un’altra nazione europea del Mediterraneo, la Spagna: il 5 novembre 1913, aerei dell’aviazione lanciarono bombe da dieci chilogrammi su obiettivi militari nella regione nord Africana del Rif. L’ultimo, mentre scrivo queste righe, nel febbraio del 2021, è avvenuto appena qualche ora fa, in Siria, o almeno così apprendo dalla CNN. Nel mezzo, si sono susseguiti migliaia di attacchi che hanno provocato milioni di vittime civili. Se si dovesse pensare che la parola “milioni” utilizzata in questo contesto sia un’esagerazione, bisognerebbe considerare che durante la seconda guerra mondiale Berlino subì quasi quattrocento bombardamenti, durante i quali furono sganciate quasi settantamila tonnellate di esplosivo, e che in Giappone, in soli tre giorni, nell’agosto del 1945, morirono duecentomila persone. Così tanti attacchi e così tante vittime che nessuno aveva mai (!) pensato di raccogliere in modo sistematico informazioni su ciascuno di essi per poi presentarle in modo chiaro e intellegibile.

Cristina Lucas, Unending Lightning (dettaglio), 2015-in corso. Still da video. Installazione video a 3 canali. Courtesy dell’artista. Collezione Fondazione In Between Art Film
In Unending Lightning (2015-in corso), Cristina Lucas pone rimedio a questa mancanza. Si tratta di un’opera che viene proiettata, ma che non è di per sé un video, bensì un programma informatico che raccoglie le informazioni e le presenta su tre schermi. Non c’è una pellicola, ma una serie di dati e immagini che vengono elaborati in un modo specifico. Lo schermo centrale mostra una mappa del mondo sulla quale i nomi delle città bombardate, ciascuno nella sua effettiva ubicazione geografica, appaiono in successione per poi rimanervi al pari dei segni del bombardamento, che lasciano una cicatrice eterna. La dimensione di ciascun nome è proporzionale al numero di vittime prodotte dalla detonazione. Il movimento delle scritte ricorda la caduta dell’esplosivo. Lo schermo a sinistra visualizza ulteriori dati. In rapidissima successione, vengono fornite informazioni di base: nome del conflitto, forza aerea responsabile, città bombardata e numero di vittime civili. Le perdite militari non sono incluse. Lo schermo a destra mostra le fotografie reperite di quel particolare giorno, molte delle quali scattate da giornalisti che hanno rischiato la propria vita pur di riuscire a farle; a volte sono state scattate dagli stessi eserciti coinvolti nelle guerre e, più di recente, dalle vittime stesse che, grazie alla proliferazione delle fotocamere dei cellulari e alla rapida diffusione attraverso i social network, hanno iniziato a narrare in prima persona le proprie sofferenze. Non tutte le immagini mostrano le vittime. Alcune fanno vedere la tecnologia impiegata, l’aereo in volo, i preparativi per l’attacco. Sono immagini che si evolvono nel tempo, passando dal bianco e nero alle foto a colori, fino a tecnologie di imaging più sofisticate come l’infrarosso o le viste satellitari. La durata di Unending Lightning aumenta con il trascorrere del tempo. Non solo perché ogni giorno che passa ci sono, purtroppo, più attacchi aerei da includere, ma anche perché si tratta di uno studio di enorme portata per il quale l’artista non ha previsto una fine. Nuovi dati, altre immagini e ulteriori dettagli continuano a emergere.
L’opera non ha suono. Il suo silenzio ci permette di immaginare il fragore di ciascuna delle esplosioni che ad essa danno forma. In molte occasioni, l’artista affianca questo lavoro a un altro, Piper Prometheus (2013), un video che mostra un aeroplano intento a sorvolare un’area urbana trascinando uno striscione. Il rombo del motore è tutto ciò che si sente. Sullo striscione si legge L=(1/2)dv2sCL, ovvero l’equazione della portanza, che spiega perché gli aerei sono in grado di volare.
SE L’OPERA DI PICASSO FU IL RISULTATO DI QUALCOSA A CUI DI SOLITO SI DÀ IL NOME DI “GENIO”, DIPINTA NELLA SOLITUDINE DI UNA SOFFITTA PARIGINA, UNENDING LIGHTNING È IL RISULTATO DELL’IMPEGNO. NON SI TRATTA DI TRASFORMARE QUALCOSA DI PARTICOLARE IN QUALCOSA DI UNIVERSALE, QUANTO PIUTTOSTO DI RIUNIRE IL TUTTO.
Se l’opera di Picasso fu il risultato di qualcosa a cui di solito si dà il nome di “genio”, dipinta nella solitudine di una soffitta parigina, Unending Lightning è il risultato dell’impegno. Non si tratta di trasformare qualcosa di particolare in qualcosa di universale, quanto piuttosto di riunire il tutto. Ore e ore di lavoro di una squadra numerosa chiamata a scrivere la storia in un modo in cui non era mai stata scritta prima. Non solo continuano a raccogliere dati sparsi in una molteplicità di fonti: dai libri di storia agli archivi militari, passando per le testimonianze raccolte dalla stampa di tutto il mondo. I dati su cui si basa sono quelli dei bombardamenti aerei, ovvero di esplosivi lanciati da aerei più pesanti dell’aria con pilota e che hanno causato vittime tra i civili. La distruzione provocata dall’artiglieria o da proiettili a propulsione autonoma, come i missili, non è inclusa. Il risultato è una narrazione che risulterebbe totalmente distaccata se non fosse per le immagini che l’accompagnano, le quali smuovono le nostre coscienze e fanno dell’indifferenza riservata dagli eserciti alle loro vittime—un’indifferenza che ne rinnova continuamente tale condizione—la protagonista del racconto.
Come siamo abituati a fare dopo secoli di narrazione eurocentrica, in Guernica un conflitto europeo assume sembianze universali. Unending Lightning, invece, è universale sin dal suo concepimento, poiché raccoglie tutti i bombardamenti avvenuti in ogni angolo del pianeta. Un attacco a Kabul non è meno rilevante di uno a New York, al pari di come uno a Gaza non è meno rilevante di uno a Berlino. Se appare una qualche gradazione, questa ha solo a che vedere con il numero di vittime. L’opera, infatti, non solo non è eurocentrica, ma lascia persino spazio a una nuova lettura delle conseguenze della colonizzazione. Le linee che appaiono dopo aver raccordato i luoghi in cui è avvenuto ciascuno dei bombardamenti sembrano ritracciare con discreta fedeltà quelle che segnò il colonialismo moderno e che ancora oggi tanto condizionano il presente, rappresentando la causa di molti dei conflitti armati.

Cristina Lucas, La Liberté Raisonnée, 2009. Still da video. Video HD 4:3, 4’50’’. Courtesy dell’artista
In quest’opera riappaiono una serie di interrogativi che accompagnano l’intera ricerca di Cristina Lucas. Come la maggior parte delle sue opere, è il risultato di un atto performativo, che non solo dice ma fa. Quest’idea di azione attraversa quasi tutti gli aspetti che definiscono Unending Lightning. Appare fin dall’inizio, già nella fase di concepimento. Ciò che accomuna tutti i casi è un’azione, quella del bombardamento dal cielo, scelta con grande rigore. Nell’opera vengono inclusi solo quelli che hanno richiesto una manovra premeditata, di complessa preparazione ed esecuzione. Questa performatività si estende non solo alla centralità del corpo umano—ciò che viene contato è il numero di morti, ovvero il numero di corpi senza vita—ma anche al fatto che si tratta di un’opera che, sebbene lo spettatore non ne sia consapevole, si fa mentre la si osserva, poiché ogni volta che l’opera viene attivata un programma software reinterpreta i dati e li converte in segni visibili.
Un altro aspetto presente anche in altre opere dell’artista è una rilettura della storia volta a mettere in discussione sia lo status quo che le narrazioni egemoniche, generalmente scritte da potenti uomini bianchi europei che si sono impadroniti della storiografia e hanno condizionato il modus operandi di tutti i meccanismi del potere. In La Liberté Raisoneé (2009), fa rivivere la famosa tela di Eugène Delacroix che ci ricorda di quella scomoda virtù per la cui affermazione occorre lottare. Cristina Lucas si chiede: cosa accadrebbe se una donna seminuda issasse una bandiera nel mezzo di una battaglia? Qualcosa di terribile. Probabilmente verrebbe violentata, picchiata, uccisa. Questo è quello che accade nel video. Molto lentamente, i protagonisti del quadro, tutti uomini, catturano e aggrediscono la Libertà. L’Illuminismo, che dissipò le tenebre dichiarando il dominio della ragione, mise da parte le donne. Anzi, ancor peggio: le sottomise ancora di più, come lei stessa chiarisce in un’altra opera, Rousseau y Sophie (2007), che ricorda come il contributo di Jean-Jacques Rousseau alla pedagogia fosse destinato esclusivamente ai bambini maschi. Il libro a cui il lavoro allude ripercorre la crescita di Emilio nel corso della sua intera vita, mentre l’educazione di Sofia è solamente finalizzata a renderla sua moglie.4 In Touch and Go (2010) Lucas dà al subalterno la possibilità di scrivere la storia. Il video ha come protagonisti ex operai delle industrie del Merseyside, vittime della avidità neoliberale di Margaret Thatcher, ormai anziani elegantemente vestiti. Uno dopo l’altro, tornano a confrontarsi con le loro aziende rompendo i pochi vetri ancora integri degli edifici in cui un tempo lavoravano e da cui furono licenziati per delocalizzare la produzione in luoghi in cui la classe operaia era soggiogata al pari di come lo era nel XIX secolo nel Regno Unito.
La cartografia—quell’espressione nient’affatto impalpabile del potere, che traccia sul territorio delle linee nette e spesse volte arbitrarie—è presente anche in altre sue opere, molte delle quali sempre strutturate in modo cronologico. Si tratta quasi sempre di processi incompiuti, opere che non saranno mai completate perché, avendo anche un carattere performativo, rispondono sia al passato che al futuro dell’umanità. Pantone -500 +2007 (2007) è un esercizio cromatico che dà visibilità ai soli territori organizzati secondo la nozione occidentale di “stato”, dando di conseguenza vita a una divisione della società tra potenti e sottomessi. Un indicatore segna il progredire della storia: un secondo per ogni anno trascorso. Nelle immagini, i cambiamenti si manifestano soltanto mediante dei colori che appaiono e scompaiono, seguendo una logica basata sul codice introdotto negli ultimi decenni dall’azienda omonima del New Jersey. Non emerge, però, ciò che ogni cambiamento sottende: guerre, rivoluzioni e morti, molti morti. Questa indagine sulla cartografia è presente anche in Light Years (2009), un grande lightbox installato in una sala espositiva completamente buia. In questo caso, non è uno schermo a riflettere la luce emessa da un proiettore: è l’opera a emanare la luce che illumina la stanza. L’indicatore, questa volta, inizia dall’anno 1789 e, anche in questo caso, arriva fino ai nostri giorni. Uno per uno, segnala i paesi del mondo in cui è stato ottenuto il diritto di voto, applicando un codice diverso per ciascun caso: dal voto esclusivamente maschile e riservato a un solo gruppo sociale (generalmente, la popolazione bianca) al suffragio universale per l’intera popolazione adulta. Una conquista dell’umanità o un’imposizione universale del pensiero politico europeo? L’opera non risolve questa tensione, ma celebra la visibilità politica del cittadino e condanna all’oscurità quegli stati che hanno messo a tacere i propri cittadini per periodi troppo lunghi della storia contemporanea. In Mundo Masculino y Mundo Femenino (2010) rivela, ancora una volta in forma cartografica—servendosi in questo caso di due grandi sfere raffiguranti il mondo—il nome più popolare con cui sono indicati i genitali in tutti i paesi della terra. Ancora una volta, è il popolo a disegnare la mappa del mondo. In ogni paese esiste una parola gergale per indicare il pene e la vulva. Due parole che si dicono molto più frequentemente di quanto non si scrivano e che definiscono una geografia di ciò che è sconveniente o inappropriato.

Cristina Lucas, Mundo Masculino y Mundo Femenino, 2010. Courtesy dell’artista
Forse l’aspetto più rilevante di Unending Lightning è la serie di riflessioni che scatena sul significato del lavoro nell’arte e sulla nozione di efficienza. L’opera sfida la pazienza di qualsiasi spettatore. Chi scrive queste righe si era ingenuamente proposto di vederla nella sua interezza all’epoca della sua presentazione a Madrid, nel 2017, senza avere chiaro in mente di quanto tempo avrebbe avuto bisogno. Questo approccio si estende all’idea stessa di ricerca: cosa significa la ricerca nell’arte? Che tipo di conoscenza può generare? E come articolare questa informazione rigorosa per farla collimare con l’esperienza dello spettatore?
Sappiamo che l’arte è uno dei modi più efficaci per conoscere la storia. Una buona parte della società occidentale impara alla scuola superiore, proprio attraverso le immagini create dagli artisti, a conoscere la vittoria di Traiano, la morte di Marat o la rivolta del popolo parigino di fronte alle ingiustizie di Carlo X. Ma come fare a leggere qualcosa di così ampio come la storia del secolo scorso attraverso una singola opera d’arte? Unending Lightning indica una strada e, al tempo stesso, definisce un ruolo per l’artista. In questo caso non guardiamo attraverso una visione, bensì attraverso il rigore. Non ci aspettiamo una spiegazione, un’interpretazione o una voce, ma un resoconto basato su fatti accertati. Dagli anni ’90 in poi, abbiamo sperimentato quella che è stata chiamata la svolta forense, la maggiore rilevanza data allo studio delle tracce materiali quale modo per resistere a quel vecchio adagio che ci diceva non solo che la storia è scritta dai vincitori, ma che ogni forma di resistenza all’abuso di potere e alla distruzione avrebbe potuto unicamente portare a maggiori ingiustizie. Eyal Weizman, che applicò questa massima all’architettura, affermò che è possibile comprendere “la materialità e la struttura di un edificio come una superficie sulla quale gli eventi vengono impressi e il processo diventa forma”.5 Il collettivo di cui è alla guida, Forensic Architecture, negli oltre quindici anni di attività ha indagato molteplici conflitti, scegliendo alcuni capitoli specifici per sezionarli e identificare coloro che attaccano i deboli e violano i diritti umani. In questo modo, è emersa la possibilità di dare voce alle vittime e, cosa più importante, di far sì che i colpevoli siano giudicati ed eventualmente condannati sulla base delle prove fornite dagli artisti. Siamo a un importante punto di svolta: l’artista non racconta più solo la storia, ma è anche in grado di aggiungere degli elementi per poterla giudicare. Cristina Lucas si spinge ancora oltre. Partendo da un approccio “forense”, porta il dibattito dall’ostracismo alla luce, dall’oblio al foro—da intendersi nel suo significato etimologico. Amplifica questa logica e, per farlo, utilizza un meccanismo di inversione che ne moltiplica il significato. Se la strategia forense prevede il rallentamento del succedersi degli eventi e l’intensificazione della sensibilità allo spazio, al tempo e alle immagini, Cristina Lucas ottiene lo stesso risultato accelerando il tempo e sistematizzando lo studio di enormi serie di dati. In altre parole, se Weizman passa ore a studiare quello che è successo in un istante—quello in cui è esploso un proiettile, per esempio—Lucas impiega lo stesso tempo a studiare quello che è successo in un intero secolo—quello in cui sono esplosi milioni di proiettili. Non si tratta solo della necessità di giustizia, ma anche di generare nuove dinamiche di lutto collettivo, di riunire i vivi—e, quindi, chi deve ancora arrivare—con i morti, e della capacità delle nostre società di costruire il futuro a partire dal superamento dei conflitti e dal riconoscimento di tutto il dolore che hanno generato.
— Traduzione dallo spagnolo
di Valentina Moriconi
Ferran Barenblit, Direttore, MACBA – Museu d’Art Contemporani de Barcelona
Ferran Barenblit (1968, Buenos Aires) è un direttore di museo con una vasta esperienza curatoriale. Dal 2015 è Direttore del MACBA, dove è alla guida del piano strategico che ha portato l’istituzione a una nuova fase, ampliando i suoi spazi espositivi e creando ambiziose iniziative intellettuali, accademiche, artistiche e di espansione del pubblico.
La ricerca di Barenblit include il ripensare le istituzioni contemporanee attraverso l’idea di “museo costituente”; la storia dell’arte contemporanea, soprattutto quella degli anni ’90; il ruolo dell’ironia nella cultura; le strategie di programmazione museale; il rapporto tra arte e cultura popolare—inclusa la musica e il movimento punk. Ha un profondo interesse nel generare un dialogo significativo tra l’Europa e la sua nativa America Latina. Ha creato molti progetti che hanno viaggiato da Barcellona/Madrid a Città del Messico (MUAC – Museo Universitario Arte Contemporáneo) e Buenos Aires (Museo Nacional de Bellas Artes, Fundación Proa).
La sua precedente esperienza istituzionale include CA2M, Madrid (Direttore, 2008-2015); CASM, Barcellona (Direttore, 2002-2008); Fundació Joan Miró, Barcellona (Curatore, 1996-2001); e The New Museum, New York (Assistente curatoriale, 1994-1996).
Cristina Lucas, Artista
Cristina Lucas è un’artista che vive e lavora a Madrid. Il suo lavoro è stato incluso in mostre personali, come “Trading Transcendence” al MUDAM, Lussemburgo; “Tod Bringendes Licht” al Kunstraum di Innsbruck; “Light Years” al Centro de Arte 2 de Mayo, Móstoles; così come in mostre collettive, festival e biennali, come Yokohama Triennal, 12 Shanghai Biennale, Manifesta 12 a Palermo, Liverpool Biennial, X Bienal de La Habana, 28 Bienal de Sao Paolo, 10 Istanbul Biennal, tra molti altri.
1 “[Guerra] / La vecchiaia nei villaggi. / Il cuore senza padrone. / L’amore senza oggetto. / L’erba, la polvere, il corvo. / E la gioventù? / Nella bara” (TdR).
2 Edwin Honig (a cura e traduzione di), The Unending Lightning: Selected Poems of Miguel Hernández, Riverdale-on-Hudson, NY: Sheep Meadow Press, 1990, p. 15.
3 Gernika è il nome in lingua basca di Guernica.
4 Jean-Jacques Rousseau, Emilio o dell’educazione, 1762.
5 Eyal Weizman, Forensic Architecture: Violence at the Threshold of Detectability, Brooklyn, NY: Zone Books, 2017 (TdR).